Attore, convenuto e processo tributario |
Controlli e contenzioso | |||
Scritto da Raffaello Lupi | |||
Sabato 12 Settembre 2009 00:00 | |||
Una delle più strane macchine leonardesche collegate alla visione "panprocessualistica" del diritto tributario (due parti litigano e il giudice decide a chi dare ragione) è la distinzione tra "attore in senso formale", che sarebbe il contribuente, colui che si rivolge al giudice, e attore in senso sostanziale, cioè il fisco. Non mi pare che il processo amministrativo usi una simile macchinosa distinzione, che conferma la forzatura di adattare schemi del processo civile ad una materia di matrice amministrativistica, dove l'oggetto del contendere è il comportamento di una autorità pubblica nella determinazione della capacità economica cui si riferiscono le imposte. Quindi il contribuente è l'attore in senso sostanziale, che ovviamente non è gravato di diaboliche prove negative sull'inesistenza della capacità economica accertata dall'Ufficio, ma nemmeno deve ripartire da zero con spesso altrettanto diaboliche prove positive dell'esistenza ed inerenza dei costi. Il contribuente, come attore in senso formale e sostanziale, può anche solo addurre che l'accertamento non è provato, e a questo punto sarà l'ufficio non a provare qualcosa davanti al giudice, ma a dimostrare che l'accertamento era corredato da adeguata dimostrazione. L'amministrazione è il convenuto in senso sostanziale e formale, chiamato a difendere un provvedimento amministrativo, mentre il contribuente, in senso formale e sostanziale, attacca questo provvedimento, anche adducendo in positivo che la capacità economica accertata era insussistente. Poi, dove c'è la matrice amministrativa c'è un processo di impugnazione.
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