Aprendo un manuale di diritto tributario di un prestigioso e serioso autore "tradizionale" si percepiva, nelle prime righe, la domanda angosciosa di come sia possibile occuparsi di tributario senza aver prima
definito cosa sia il tributo. Senza accorgersi che la stessa domanda si potrebbe porre per l'economia, il diritto, la vita la religione, la politica e chi più ne ha più ne metta. Perchè nelle riflessioni sulla condizione umana e la convivenza sociale non serve una definizione puntuale per parlare di qualche cosa...come quel paradosso dei sofisti secondo cui non si poteva dire che una cosa era malvagia senza sapere cos'è il male. Sofismi da baraccone, appunto, ma premesso che si può vivere anche senza una definizione di tributo, notiamo una tendenza ad allargare il concetto. Lo abbiamo visto per le tasse di imbarco, lo abbiamo visto per la Tia, lo abbiamo visto per i diritti camerali, lo abbiamo visto negare per il canone autostradale, lo abbiamo visto per i contributi consortili, ora lo vediamo per la tassa di iscrizione agli albi professionali. Sembra che la cassazione stia ragionando con lo schema cognitivo secondo cui è un tributo qualsiasi pagamento non solo "doveroso" (altrimenti pure l'affitto e il prezzo delle foniture ricevute o il risarcimento di un danno sancito dal giudice diventerebbero tributi) ma indispensabile per avere un certo bene, un certo status, cui si ha per altri versi interesse, La cassazione non va oltre una serie di stereotipi, della coattività e della doverosità. Stereotipi che andrebbero bene anche per le quote condominiali. La contribuzione alle spese pubbliche viene totalmente trascurata in questo profilo definitorio. Che diavolo c'entra con le spese "PUBBLICHE". Cerchiamo di spiegare quello che la cassazione non dice, cioè perchè il contributo alla camera di commercio o all'ordine dei medici sono tributi. Forse perchè c'è un interesse pubblico a che i medici si organizzino e quindi il pagamento delle relative spese diventa un tributo? Allora c'è anche un interesse pubblico a che i proprietari di immobili si organizzino e paghino le spese relative all'immobile? Ma allora se è un tributo pure la quota consortile del consorzio di Ardea-Lido dei pini Lupetta (si chiama così, io non c'entro, ci ho casa solo da due anni) perchè allora non deve essere un tributo pure quota del nostro condominio!. E la quota della club house di chi ha casa in residence a porto rotondo? Ed è un tributo la quota associativa del circolo di "simpatici e anticipatici" (è la seconda scena, quella dell'elezione del presidente)..dopotutto per essere "qualcuno" nel generone romano "devi essere socio..." e se sei socio devi pagare...quindi è un tributo..del resto se vuoi lavorare come professionista devi trovare i clienti al circolo, quindi se il contributo all'ordine degli avvocati è un tributo, perchè no l'iscrizione al Canottieri Aniene?? . Pubblico la sentenza, anche se christian de sica è molto più serio del diritto tributario italiano...(vedetevi pure la scena dopo, che merita...non c'entra col tributario...però merita!!)..comunque non sono questi i problemi della tassazione attraverso le aziende, perchè sono alla portata della cultura generale giuridico-economica diffusa...perfettamente in grado di rendersi conto che anche qui è tempo perso..comunque ecco la sentenza sulla quota all'ordine professionale...
Ord. n. 1782 del 26 gennaio 2011 (ud. dell’11 gennaio 2011)
della Corte Cass., SS.UU. – Pres. Vittoria, Rel. Botta
Contenzioso - Processo tributario - Organi e oggetto della giurisdizione
tributaria - Giurisdizione delle Commissioni tributarie - Quote di
iscrizione agli albi professionali - Art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992
Svolgimento del processo - La controversia nasce a seguito dell’invio da
parte di Equitalia Gerit di un avviso per la riscossione in favore del
Consiglio Nazionale Forense a carico degli avvocati del foro di Roma non
abilitati al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori per la
riscossione del contributo annuale previsto dal D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944,
art. 14, contributo che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma
aveva deciso di non continuare a riscuotere a decorrere dal 2001, ritenendo
che lo stesso non fosse dovuto.
Contestando radicalmente la legittimità del preteso contributo, un
gruppo di avvocati ha citato innanzi al Giudice di Pace di Roma il Consiglio
Nazionale Forense, il quale in questa sede ricorre per regolamento
preventivo di giurisdizione a favore del giudice amministrativo, o, in via
subordinata, a favore, del giudice tributario. Si sono costituiti con
distinti controricorsi, da un lato, gli avv.ti A.M., S.M. e M.S.,
dall’altro, gli avv.ti M.A., B.F., K.B., C.F.D. F.L., M.M., A.S.. Tutte le
parti hanno depositato memoria.
Motivazione - 1. Preliminarmente va rilevata l’infondatezza della
contestazione svolta dal difensore delle parti controricorrenti
(esclusivamente in sede di udienza di discussione) circa un supposto difetto
di rappresentanza del Presidente del CNF. Infatti, l’art. 6, comma 1, del
"Regolamento per le attività del Consiglio Nazionale Forense" approvato
nell’ottobre 1992 prevede che “il Presidente rappresenta, dirige, presiede
il Consiglio Nazionale Forense e ne coordina l’attività”.
2. Il Consiglio Nazionale Forense, nella prospettazione principale del
proprio ricorso, pone in evidenza come dalla lettura dell’atto di citazione
emerga che gli attori contestano, non il singolo provvedimento adottato nei
loro rispettivi confronti, ma “l’atto generale presupposto con cui il CNF ha
deciso di richiedere a tutti gli avvocati il contributo annuale di Euro
25,8, ai sensi del D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, art. 14”. Oggetto della
contestazione è Vati della pretesa del Consiglio Nazionale Forense, non
l’avviso di pagamento, o il quantum della pretesa o la possibile conseguenza
derivante dal mancato pagamento. Per queste ragioni, la giurisdizione
spetterebbe al giudice amministrativo.
3. Il Consiglio Nazionale Forense, nella prospettazione subordinata del
proprio ricorso, prospetta la possibilità che la controversia sia
attribuibile alla giurisdizione del giudice tributario, stante la nuova
formulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, il quale assegna a tale
giurisdizione, appunto, tributi di ogni genere e specie comunque denominati.
4. È questa la soluzione che appare più corretta e coerente con il
sistema. Anche se il D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, art. 14, denomina
"contributo", la prestazione dovuta dagli iscritti nell’albo per le spese
del funzionamento del Consiglio (Nazionale Forense), tale denominazione è
irrilevante al fine di determinare (od escludere) la natura tributaria della
prestazione. Questa, infatti, ha le stesse caratteristiche e scopi della
"tassa" (così denominata, secondo un linguaggio tipico del diritto
tributario) prevista dall’art. 7 del medesimo decreto. Tale norma, al comma
2, prevede che “il Consiglio (dell’Ordine) può, entro i limiti strettamente
necessari a coprire le spese dell’ordine o collegio, stabilire una tassa
annuale, una tassa per l’iscrizione nel registro dei praticanti e per
l’iscrizione nell’albo, nonchè una tassa per il rilascio di certificati e
dei pareri per la liquidazione degli onorari”.
5. Il sistema normativo riconosce, in questa prospettiva, all’ente
"Consiglio", una potestà impositiva rispetto ad una prestazione che
l’iscritto deve assolvere obbligatoriamente, non avendo alcuna possibilità
di scegliere se versare o meno la tassa (annuale e/o di iscrizione
nell’albo), al pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza
all’ordine. Siffatta "tassa" si configura come una "quota associativa"
rispetto ad un ente ad appartenenza necessaria, in quanto l’iscrizione
all’albo è conditio sine qua non per il legittimo esercizio della
professione.
6. Sussiste in tal modo, uno degli elementi che caratterizzano il
"tributo": la doverosità della prestazione. Chi intenda esercitare una delle
professioni per le quali è prevista l’iscrizione ad uno specifico albo, deve
provvedere ad iscriversi sopportandone il relativo costo (la tassa di
iscrizione e la tassa annuale), il cui importo non è commisurato al costo
del servizio reso od al valore della prestazione erogata, bensì alle spese
necessarie al funzionamento dell’ente, al di fuori di un rapporto
sinallagmatico con l’iscritto.
7. Ecco, quindi, il secondo elemento perchè sia riconoscibile la "natura
tributaria" della prestazione: il collegamento della prestazione imposta
alla spesa pubblica riferita a un presupposto economicamente rilevante. Il
presupposto, nella specie, è costituito dal legittimo esercizio della
professione per il quale è condizione l’iscrizione in un determinato albo.
La spesa pubblica è quella relativa alla provvista dei mezzi finanziari
necessari all’ente delegato dall’ordinamento al controllo dell’albo
specifico nell’esercizio della funzione pubblica di tutela dei cittadini
potenziali fruitori delle prestazioni professionali degli iscritti circa la
legittimazione di quest’ultimi alle predette prestazioni.
8. Tali considerazioni trovano conforto nella giurisprudenza di queste
Sezioni Unite che hanno riconosciuto, proprio sulla base della nuova
formulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, (introdotta con la riforma
del 2001), la giurisdizione del giudice tributario per le controversie
concernenti il pagamento del diritto annuale di iscrizione in albi e
registri delle Camere di commercio, il c.d. diritto camerale (Cass. S.U. nn.
13549/2005, 10469/2008, 1667/2009): una situazione non dissimile da quella
che concerne la tassa di iscrizione agli albi relativi all’esercizio di
determinate professioni.
9. Pertanto, deve essere dichiarata nella specie la giurisdizione del
giudice tributario.
10. La novità della questione giustifica la compensazione delle spese
nella presente fase del giudizio.
P.Q.M. - LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara la giurisdizione del giudice tributario e rimette le parti
innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale competente per territorio.
Compensa le spese.
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