Parlare senza dire nulla, ripetere sussiegosamente luoghi comuni, non è innocuo. Giorno dopo giorno impedisce di riflettere, mette in circolo banalità, intorpidisce la mente dei lettori. Sotto questo profilo, soprattutto sul fisco, il sole 24 ore innesca quel sonno della ragione che produce mostri, rappresentando un oggettivo ostacolo alla comprensione del ruolo delle aziende non solo nella società, ma soprattutto come
strumenti di determinazione della ricchezza ai fini tributari e di riscossione delle imposte. Insomma di quella tassazione attraverso le aziende che si fa strada nell'opinione pubblica qualificata, a tutti i livelli, meno che in quel piccolo cremlino giornalistico che si chiama redazione di "norme e tributi". Ormai del tutto in preda al virus delle scienze sociali, che non è dire cose sbagliate, ma parlare senza dire nulla, e oltretutto in modo piatto e poco gradevole, prendendo -dalla tecnica- solo la mancanza di brio. Il resto è banalità, e sono quasi uno sprazzo di sereno, rispetto al piattume dei "collaboratori stabili", le interviste di buonsenso ad esterni, come Andrea Bolla di confindustria, che almeno parla di sostanza, non di normette e di tecnicismi enfatizzati. Poi magari sbaglia, ma ci si può inteloquire, si intravede una mentalità aperta, ancora disponibile a mettersi in discussione, a riflettere, senza le sclerotizzazioni che ritroviamo nel cimitero mentale dell'accademia e anche nella redazione di norme e tributi. Però, caro Bolla, tutte le semplificazioni di cui parli si dirigono a una opinione pubblica con in mente un convitato di pietra, la ricchezza non registrata. Si proprio quella che , dopo averti intervistato , il tuo giornale sbatte in prima pagina con i soliti titoli sensazionalistici, con bla bla bla sconclusionati , più violenti di questo di Marco Travaglio. Che però almeno si legge bene, mentre quelli del sole fanno venire il latte alle ginocchia, e soprattutto non fanno fare un passo avanti al problema. Caro Bolla, o le aziende fanno capire di essere loro gli esattori del fisco, e che non sono le aziende a nascondere ricchezza, ma casomai i loro titolari, oppure è inutile parlare di semplificazioni. Ma vuoi vedere che parecchi industrialotti hanno la coda di paglia, e magari preferiscono che il fisco si accanisca con le aziende, a colpi di competenza e di abuso del diritto, perchè loro nell'ombra ancora continuano a nascondere quote importanti di ricchezza in modo assolutamente impermeabile a quella gigantesca sceneggiata che si chiama "tutoraggio fiscale"?. Chi sa, magari sono pochi, nel nostro capitalismo familiare. Però a pensare male un pò ci si indovina. la verità, come sempre nelle scienze sociali, è un insieme di tante componenti , ciascuna delle quali spiega qualcosa , ma non tutto. Probabilmente molti esponenti del capitalismo familiare, forse paghi della ricchezza occultata dai nonni, e nascosta in qualche banca estera, possono mantenere un tenore di vita lussuoso anche senza nascondere un centesimo al fisco. Per minore utilità marginale del denaro , non per onestà, così come il pasticcere o l'idraulico nascondono ricchezza al fisco perchè "evadono tanto di poco". Ma tutti gli esponenti del capitalismo familiare, e il giornale di confindustria, sono impermeabili ad una riflessione sul ruolo fiscale delle aziende. E non ci rimettono solo loro, ma ci rimette il paese.
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