Doppia imposizione e rettifiche conseguenziali da accertamento definitivo sulle controparti StampaLoading...
Tassazione societaria
Scritto da Raffaello Lupi   
Mercoledì 15 Febbraio 2017 08:28

L’autodeterminazione dei tributi, e le sue simmetrie concettuali, nel tempo e nello spazio, tra un contribuente e l’altro, non finiscono con la dichiarazione dei redditi. Possono esserci infatti innumerevoli tipologie di errori, spesso conseguenziali a interventi degli uffici tributari, che implicano la correzione di dichiarazioni successive, anche oltre i termini di decadenza. Un caso classico riguarda

i cosiddetti errori sulla competenza, dove una interpretazione amministrativa del 2010 ammetteva giustamente le correzioni conseguenziali su altri periodi di imposta, anche chiusi, entro il biennio, termine generale per “sopravvenuto diritto al rimborso” di cui all'art.21 del contenzioso. Il termine decorreva naturalmente da quando la rettifica fiscale sull’altro periodo di imposta si era resa definitiva; mentre nel 2010 si riteneva di istruire una azione di rimborso, una successiva circolare del 2013 (24 settembre 2013 n.31-E) consentì la riliquidazione a catena delle dichiarazioni, effettuando l’imputazione o la qualificazione corretta dell’elemento reddituale nella dichiarazione originaria, e modificando quelle intermedie fino all’ultima effettuata, evitando in pratica l’istanza di rimborso, e giungendo alla riliquidazione autodeterminata degli effetti della rettifica. In modo che il tutto possa essere gestito dal contribuente senza istanze di rimborso. L’amministrazione ha preso posizione su queste rettifiche conseguenziali ad accertamenti solo a proposito di eventi riguardanti lo stesso contribuente, ma non ci sono ostacoli logici ed ermeneutici all’effettuazione di queste rettifiche quando esse sono indotte da una riqualificazione accertativa dell’elemento reddituale in capo ad altri soggetti in rapporto col contribuente, come ad esempio un coniuge cui si negasse la deduzione degli alimenti erogati all’altro coniuge, che nel frattempo li aveva regolarmente dichiarati; lo stesso potrebbe accadere per i riflessi sul compratore della qualificazione ai fini della PEX di una partecipazione societaria oppure per un compenso amministratore ritenuto indeducibile secondo il noto va e vieni della cassazione. In tutti questi casi scattano rischi di doppia imposizione del tutto analoghi a quelli che erano alla base delle interpretazioni ministeriali del 2010 e del 2013 e non si intravede alcun motivo logico per negare la rettifica conseguenziale in capo a chi -coerentemente con la definitiva qualificazione dell’ufficio tributario in capo a una controparte- avrebbe titolo a una rideterminazione dell’imposta a suo tempo dichiarata. Questo anche in base alla clausola generale sul divieto di doppia imposizione, contenuta nell’articolo 67 del decreto sull’accertamento, secondo cui l’imposta personale pagata dal soggetto erogante a titolo definitivo a seguito di accertamento è scomputata dall’imposta dovuta dal percipiente il medesimo reddito. E’ una norma innescata dagli accertamenti in capo ai soci delle società “a ristretta base azionaria” (Lupi, diritto amministrativo dei tributi, par.7.17) e che comporta a rigore un iter logico parzialmente diverso, cioè lo scomputo imposta da imposta. Tuttavia l’indicazione sistematica è chiara. Siccome la procedura fisiologica, ed entrata nel sistema interpretativo, è quella delle suddette rettifiche a catena, mi pare che debba essere questo il correttivo da adottare, anche in queste ipotesi. Quando però i termini per la rettifica autoliquidata, cioè il termine per l'accertamento, sono scaduti, non resta che il rimborso atipico, indotto da accertamento, che non potrebbe essere autoliquidato, il che è anche logico in quanto il centro di servizio si troverebbe in difficoltà nel lavorare una dichiarazione per un periodo d'imposta per cui è addirittura scaduto il termine per l'accertamento. Sul piano teorico si potrebbe poi esplorare se dietro l'articolo 67 del 600 possa intravedersi una diversa procedura in cui non si riqualificano gli imponibili, nel senso che l’imposta dovuta dall’erogante in seguito ad accertamento viene calcolata a credito del percettore nell’anno successivo in cui viene liquidata.Per ora mi pare fantascienza tributaria, ma vedremo. 

Commenti

Per postare commenti o rispondere è necessario loggarsi.