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Una teoria per i tributaristi

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Home Tassazione internazionale soldi in paradiso e ruolo della legislazione
soldi in paradiso e ruolo della legislazione PDF Stampa E-mail
Tassazione internazionale
Scritto da Administrator   
Giovedì 30 Luglio 2009 00:00

La disposizione secondo cui "salvo prova contraria" i soldi detenuti in paradisi fiscali si presumono frutto di evasione fiscale è coerente col fine della legislazione che da sempre indichiamo su Dialoghi. Quello di lanciare messaggi, di orientare i comportamenti, di suscitare consenso, di prevenire critiche, non quello di organizzare in modo coerente e sistematico la convivenza sociale.

  Lo avevamo scritto già sul numero 1 di dialoghi di quest'anno, che se il compito del giurista è di parafrasare la legislazione, allora meglio chiudere bottega, siamo cotti davanti a un permanente inevitabile guazzabuglio di strutturale incoerenza. La legislazione non è la manifestazione della sapienza divina sulla terra, secondo la consueta litania che critica il legislatore e poi ne invoca l'aiuto, creando  molta più confusione di quanta già non ne esista, più rigidità, più occasioni per penalizzazioni fortuite o punizioni per vicende del tutto innocue. Come la mettiamo con tutti i condoni che ci sono già stati, e che hanno "tombalizzato" i periodi di imposta fino al 2002, e poi il 2003 è decaduto, e poi il raddoppio dei termini opera solo se prima della scadenza scatti un obbligo di rapporto all'autorità giudiziaria. E poi come li troviamo i soldi all'estero se non li si riportano in Italia? E se li si riportano in Italia a nome di terzi, fondi di investimento anonimi? Quante sono state finora le contestazioni al monitoraggio fiscale, se si escludono le tristi vicende dei fondi neri all'estero di società italiane, emersi nelle indagini per corruzione, che secondo il fisco avrebbero dovuto essere indicati nel modello rw degli amministratori come se fossero soldi loro? In realtà il legislatore è impotente verso i soldi all'estero, perchè qui  viene meno l'esercizio del potere autoritativo, la colonna portante amministrativistica del diritto tributario. Ed è inutile minacciare sanzioni feroci, o palesi violazioni del principio di proporzionalità, anche perchè è verosimile che tantissimi soldi all'estero vengono da ragioni familiari, con evasioni vecchissime e ormai prescritte. E' una conferma che i tributi vanno intercettati alla produzione della capacità economica,e  che seguire le spese o le movimentazioni finanziarie dei patrimoni comporta uno sforzo enormemente superiore e spesso inutile. Come chiudere le stalle quando i buoi sono scappati.  

Commenti

avatar mauro franchi
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Qualche giorno fa ho letto, velocemente, la notizia di come l'Inghilterra si starebbe muovendo sul fronte del rientro dei capitali in patria:
- il governo britannico, anzitutto, ha concluso un accordo col LICHTESTAIN al fine di avere la lista dei nominativi, con relativi importi, di soggetti inglesi che detengono attività finanziarie;
- i provvedimenti che verranno emanati stabiliranno anche il sequestro dei conti di chi non rimpatria i capitali;
- saranno dovute le imposte degli ultimi 10 anni;
- l'unico favore è la penale ridotta del 10%.
Pur nella sintesi e nella inevitabile imprecisione di quanto ho riportato, possiamo cogliere significative differenze nella filosofia di fondo che distingue l'iniziativa britannica rispetto a quella italiana. Come correttamente fa notare Raffaello il primo problema che va risolto è quello riguardante la riottosità dello stato estero, ove è collocato il conto, a "cedere parte della propria sovranità". Nessuna norma potrà risultare efficace se prima non si è ottenuta una concreta disponibilità a collaborare da parte delle autorità estere. La diplomazia inglese, anzitutto, si è mossa ottenendo la disponibilità delle autorità del LICHTESTAIN a fornire gli elenchi. Il dott. Befera dell'Agenzia dell’Entrate ieri, in un'intervista al TG1, informa che la Svizzera e San Marino avrebbero dato segnali di voler collaborare (un'affermazione che non da, di fatto, alcuna sicurezza che poi i due stati saranno coerenti con quanto detto, non si sa, poi, da chi ed a chi). L'accordo Londra - Vaduz è stato invece reso manifesto in contemporanea dai massimi vertici dei due paesi. Messi, così, alle strette i contribuenti infedeli di Sua Maestà, saranno chiamati a pagare, senza sconti, le imposte degli ultimi, si badi bene, dieci anni. Il segnale che viene lanciato è chiaro: nessun colpo di spugna. Una forte indicazione per orientare (come sempre ci ricorda Raffaello) il comportamento futuro dei contribuenti. Unica agevolazione la sanzione: pari al 10% delle somme (comunque il doppio di quanto previsto da noi). A parte la tematica relativa all'inversione dell'onere della prova, alle possibili diverse giustificazioni dei contribuenti, al decorso dei termini di prescrizione ed ai condoni, mi preme anche sottolineare che in ogni provvedimento fiscale le disposizioni sanzionatorie hanno una parte importante, se non determinante, in quanto sono volte a spronare i contribuenti all'adempimento. Ma non sempre è così: una sanzione anche abnorme (quale può essere, forse, quella relativa al provvedimento di rientro dei capitali in Italia), da sola non potrà mai sopperire all'inconcluden za di norme che, ad una attenta analisi, si rivelano poco adatte alla realtà sociale di riferimento. Se non si conoscono con precisione i nomi e le somme di chi detiene i soldi all'estero si rischia di abbaiare alla luna, la sanzione sarà poco efficace. Diversamente pare, invece, che avvenga nel il Regno Unito: la sanzione vera, che fungerà da assoluto deterrente è il sequestro delle somme detenute all’estero. Il ragionamento pare chiaro e semplice: abbiamo ottenuto i nomi dallo stato estero, sappiamo chi siete perciò se non rimpatriate i denari vi sequestriamo i conti. E' ovvio che anche oltre manica i risvolti di un possibile contenzioso possono essere variegati, magari con tante frecce da spezzare a favore dei supposti evasori ma, almeno sulla carta, la strategia pare dotata di notevole efficacia. Befera ha tenuto anche a fornire un dato quantitativo sui possibili pizzicati: circa 170.000, oltre a 30.000 finti residenti esteri. Si parla di irregolarità nella compilazione del quadro W, di informazioni, non si sa quali, a disposizione dell'Agenzia delle Entrate, che presto verranno fornite agli uffici. Si può immaginare che i dati saranno i più variegati, frammentati, scomposti ecc.. L'impegno della task force annunciata dovrà necessariamente essere massimo. Non vorrei che nell'elenco dei 170.000 vi fosse anche il nome dei tanti, emigrati, negli anni 50/60, in Svizzera od altri paesi , oggi in pensione e che si godono legittimamente, in Italia, i frutti accumulati in tutti questi decenni, guardandosi bene di riportarli nell'ambito dei confini nazionali...il tutto semplicemente e comodamente prelevandoli presso qualsiasi sportello bancomat con carta di credito fornita direttamente dall'istituto di credito estero. Comunque l'effetto annuncio ha sempre una parte importante, così come qualche azione dimostrativa, per il buon esito dell'iniziativa.
avatar mauro franchi
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RAPPORTI CON L'ESTERO, QUALI ALTRE POSSIBILI VALUTAZIONI
La legge n. 227/1990 sul monitoraggio fiscale obbliga a compilare il c.d. quadro W solamente le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici. Nessun adempimento, invece, per le società di capitali. E' probabile che il "legislatore" di allora abbia pensato che fossero sufficenti le garanzie derivanti dalla tenuta di una ordinata, completa e veritiera contabilità. Anche oggi, verificando il contenuto, ad esempio, del modello UNICO SOCIETA' DI CAPITALI 2009, si può rinvenire un supplemento d'informazioni, richiesto a tali soggetti, solo nel quadro FC, avente ad oggetto i rapporti con partecipate residenti in paradisi fiscali, cui si applica sia la trasparenza e sia la rideterminazion e del reddito secondo il TUIR. In questi 19 anni si sarebbe potuto fare, invece, di più nella strutturazione, per gradi, di una serie ponderata di informazioni da richiedere alle imprese trasnazionali o comunque interessate da non episodici rapporti con l'estero. A tal fine mi sono sembrate sensate le proposte avanzate, proprio 20 anni fa, dal Prof. Nuzzo, il quale auspicava il compleamento dell'informativ a di bilancio (ad uso fiscale) di questi enti. In particolare veniva proposto di indicare non solo le aree geografiche di operatività ma anche i paesi, così come si consigliava di richiedere report strutturari nelle movimentazioni finanziarie da e per l'estero. Ovvio, il tutto "cum granum salis": senza eccedere nella raccolta di informazioni. Troppi dati diventano inutili. L'aumento delle competenze dei verificatori avrebbe dovuto andare di pari passo con l'acquisizione di specifiche sensibilità, sia di selezione che valutative. Insomma, l'introduzione di un apposito quadro W, diciamo, ad appannaggio delle società commerciali e di capitale in particolare. In ultimo, vale la pena ricordare che l'attuale informativa civilistica di bilancio, già scarna per le esigenze conoscitive dei soci e dei terzi creditori appare in modo chiaro ed intuitivo insufficente e non aderente allo scopo specifico d'indagine fiscale che si muove da altri presupposti ed ha altre finalità.
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