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Una teoria per i tributaristi

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Home Sanzioni Non dichiarato e "nascosto": riflessi sulla punizione
Non dichiarato e "nascosto": riflessi sulla punizione PDF Stampa E-mail
Sanzioni
Scritto da Raffaello Lupi   
Martedì 25 Agosto 2009 00:00

Anche le sanzioni tributarie sono la parte di un tutto, e senza una teoria della tassazione analitico aziendale,anch'esse dimostrano eccessi punitivi su comportamenti relativamente inoffensivi, ovvero palesi deficit punitivi su comportamenti assolutamente insidiosi. Abbiamo già rilevato su Dialoghi  che considerare evasa qualsiasi differenza tra imposte dichiarate dal contribuente e accertate dall'ufficio èsemplicistico; ciò  trascura circostanze profondamente diverse in termini di insidiosità e riprovazione sociale.

 Questa concezione, assurdamente, penalizza l'evasione interpretativa, cioè il regime applicato dal contribuente a circostanze registrate, o comunque palesi. Poco più insidioso è il comportamento di chi puramente e semplicemente nasconde le tracce della propria ricchezza, senza insidie particolari, ma rischiando di essere scoperto. Nessuno gli chiede le imposte, se non la Gazzetta ufficiale, che gli chiede di indicare somme che nessuno conosce, e che non transitano secondo un circuito aziendale. E' normale fino a questo punto incassare senza dichiarare: va punito, ma tenendo conto che nessuna autorità richiedeva personalmente le imposte all'interessato. Chi prende una somma e non la dichiara, chi non batte lo scontrino, chi propone 10 senza fattura e 15 con fattura, non commette ancora frode. Quest'ultima inizia a profilarsi quando si vanifica la visibilità amministrativo aziendale della capacità economica, neutralizzando i passaggi che la fanno emergere. Generando nelle controparti una apparenza di regolarità fiscale, che poi viene vanificata senza che esse lo vedano. Ad esempio emettendo fattura, o scontrino, senza poi registrarli. In questo modo il cliente percepisce un fornitore ligio alle regole fiscali, mentre questa impressione è stata falsamente generata. L'organizzazione amministrativa garantisce il contribuente da appropriazioni indebite dei suoi collaboratori, ma viene vanificata dallo stesso contribuente per ingannare il fisco, come abbiamo visto per le fatture puntualmente rilasciate, ma non registrate o per altri depotenzialmenti di una struttura amministrativa su cui il fisco fa affidamento, e che invece il titolare utilizza solo per i suoi interessi, cercando di depotenziarla quando si tratta di ingannare il fisco. Su queste ipotesi di menzogna, di "shame", intesa come vergogna, gli altri paesi sono flessibilmente e pragmaticamente, come in questa scena di Gian Maria Volontè, spietati nella repressione. La stessa cosa per l'utilizzazione del nome di un inconsapevole fornitore vero, per registrare una fattura falsa fatta in casa.   In questo caso vengono aggirati quei presidi amministrativo aziendali su cui il fisco fa leva per per determinare la capacità economica. Stessa cosa per chi adotta programmi contabili che fanno vedere registrate le fatture, ma non le sommano, oppure interpone fornitori fittizi,magari esteri, per deprimere i conti della propria società a vantaggio dei propri conti del liechtenstein.  Il nostro concetto burocratico e formale di "Imposta evasa" finisce per colpire invece la ricchezza palese, in modo tipico di una legalità ridotta a feticcio. Il concetto guida è la frode, magari in una accezione ampia, che include pure gli incassi in nero realizzati aggirando una organizzazione aziendale che c'è. Insomma, depenalizziamo gli autonomi, e concentriamoci pragmaticamente sugli individui che utilizzano le organizzazioni per sè stessi e cercano di aggirarle a danno del fisco.

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