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Una teoria per i tributaristi

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Home Recensioni Giuseppe Marino-Paradisi e paradossi fiscali
Giuseppe Marino-Paradisi e paradossi fiscali PDF Stampa E-mail
Scritto da raffaello lupi   
Sabato 03 Ottobre 2009 00:00

Il volume (160 pagine, edite da EGEA, di cui è scaricabile qui la prefazione ) è una brillante riflessione sui paradisi fiscali e sul loro utilizzo. Come tutti i volumi dedicati a singoli aspetti della tassazione analitico aziendale , e la maggior parte degli episodi che commentiamo su questo sito , anche il volume sconta il principale inconveniente della tassazione analitico aziendale in Italia, cioè   la mancanza di categorie di ragionamento generali, che possano fare da sfondo. Il volume si struttura sulle "tipologie di paradisi" (capp.1 e 2), sulle misure di contrasto raggruppate per istituzione di riferimento (legislazione interna, accordi internazionali, enti sovranazionali: par. 3-5) e sulle prospettive (6-8). Come si inserisce il paradiso fiscale nella trama della tassazione analitico aziendale, quali sono le effettive necessità di un "paradiso" e quando potrebbe bastare solo una giurisdizione estera?, fuori dal controllo a tappeto del fisco italiano (anagrafe dei conti?). Come si individua la relativa capacità economica , a seconda dei modi in cui si è formata, e dei luoghi in cui potrebbe dover tornare, cioè nei patrimoni privati dei titolari o nelle loro imprese? Anche i paradisi fiscali sono una parte di un tutto. Si possono usare per appoggiare persone (residenze di comodo), capitali evasi (mi faccio pagare nel paradiso e non dichiaro), ovvero frutti di capitali dichiarati , o comunque di fonte successoria o di smobilizzi patrimoniali. Possono essere una sede di partenza di operazioni finanziarie, ma soprattutto il punto di appoggio di costi "distratti" da imprese di proprietà del socio, semplicemente gonfiando alcune fatture grazie a fornitori compiacenti o interponendo società apparentemente indipendenti. La contropartita apparente del costo della società italiana è un fornitore estero, ma la contropartita reale è  il paradiso fiscale. Mi sembra abbastanza chiaro, quindi, la maggiore efficacia di polarizzare l'azione di contrasto dove si alimentano i capitali nei paradisi (sulle società italiane "visibili"), anzichè alla ricerca casuale di soldi all'estero, che chissà dove sono. La task force, di cui parla il ministero, dovrebbe cercare ciò che è nascosto, nei bilanci, invece di almanaccare sul regime giuridico di ciò che è palese (ed anche più facile da verbalizzare). E non basta farlo "per legge", perchè bisogna capire di volta in volta chi è il mandante del paradiso, altrimenti si rischiano di penalizzare soggetti del tutto estranei, come in quest'altra discussione. Le brillanti riflessioni di Giuseppe Marino dovrebbero essere seguite da una geografia economico-giuridica, che inserisca un peso specifico sulla rilevanza sociale dei fenomeni cui si fa riferimento, e che certo non risultano dalle banche dati dell'anagrafe tributaria. Però qualche informazione collaterale, unite ad ipotesi credibili sul comportamento complessivo di operatori razionali si possono fare. Non credo sia molta la ricchezza che prende la via dell'estero per risparmiare sulla tassazione delle rendite finanziarie. Nè credo sia molta l'evasione fatta in Italia esportando poi i soldi fuori per non farli trovare (salvi alcuni casi frontalieri). Probabilmente si tratta di risorse formate direttamente all'estero al momento dell'evasione. Al di là del paradiso il problema però è dell'estero, e della visibilità del titolare effettivo. Non ho avuto tempo di scorrere tutto il libro di Giuseppe, e mi chiedo in quale misura sia davvero un ostacolo all'utilizzo di prestanome, la necessità delle banche di individuare il "beneficiario economico" di determinati conti. E se in alcuni paesi ci fossero conti al portatore?. Oppure movimentabili "per relationem" in base alle indicazioni di qualche registro, fiduciaria, etc? In modo da spezzare il collegamento tra in denaro e il suo proprietario? Sarebbero cose di cui parlare, mettendo in soffitta il mito dell'onnipotenza legislativa, del legislatore -dio, e capendo fino a quali punti può spingersi la sua potenza, per contemperare una pluralità di altri interessi meritevoli di tutela (snellezza traffici, controllabilità, gestibilità degli stessi controlli, fluidità delle pratiche commerciali) che ancora non hanno nulla a che vedere con la concorrenza fiscale e le gelosie tra stati. Il contrasto all'evasione è una esigenza importante, ma -come tutti i valori- non è nè un valore assoluto nè una variabile indipendente. Prima di tutto perchè le risorse sono quelle che sono.

 

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