Scudo fiscale: il fantasma del segreto o il segreto del fantasma? Stampa
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Tassazione internazionale
Scritto da Raffaello Lupi   
Lunedì 12 Agosto 2013 13:54

Le vicende del "finto cinese" (in realtà ti-cinese) sono tornate alla ribalta, almeno per noi tributaristi,  da quando la verosimile sentenza della cassazione sui diritti televisivi mediaset ha fatto venire allo scoperto un secondario riflesso della tassazione attraverso le aziende. Che sono un implacabile esattore del fisco "per gli altri" (consumatori, lavoratori, risparmiatori, soci cassettisti), ma

almeno nell'italico capitalismo familiare si fermano "davanti al padrone", come Gatto Silvestro davanti a Titti su De Rica.  Sovrafatturazione di costi, sottofatturazione di ricavi, intestati a una (in)testa di legno compiacente e i soldi non vengono "portati all'estero", ma si formano direttamente all'estero. Ecco quindi tutta l'ipocrisia del monitoraggio fiscale, nato per combattere un problema tutto sommato secondario, cioè l'evasione "del frutto", cioè l'interesse di un patrimonio costituito senza evasioni, usato come spia di un patrimonio costituito in evasione. E che prima o poi gli interessati avevano piacere a riportare a casa. A pensarci bene, il prelievo sostitutivo sui capitali scudati, se pensiamo a come funziona, cioè sulle somme rimaste nei rapporti segretati, era una specie di tassazione aggiuntiva su chi aveva motivo di "tenere il segreto", nonostante lo scudo, perchè aveva la coscienza sporca. Se ad esempio un artista, che si era fatto pagare "una tantum" in nero  un concerto occasionale, o una sponsorizzazione di un cliente estero, avrebbe potuto anche subito chiudere il conto scudato e prendersi i soldi, sapendo di non avere altri macigni sulla coscienza. Il solito signor Brambilla , titolare della Brambilla spa, sa però che il suo scudo personale non copre la violazione della società, che magari sono allegramente continuate nel tempo, anche dopo lo scudo. Quindi chi mantiene il conto segretato è sospetto, e -dopo l'instaurazione del prelievo sostitutivo sul conto in esame- anche chi preleva, soggetto a una imposta "una tantum" da prelievo. In realtà non ci sono limiti normativi alla riservatezza, che però può riguardare "il conto", ma non i soldi. Non si possono mettere cioè dei contrassegni alle somme scudate , per poi proteggerle quando vengono prelevate e depositate su altri conti. Non è che si perde la riservatezza sul conto di partenza, "a quo", come direbbero gli avvocati, ma non la si può trasferire sul conto "ad quem", dove il nuovo intermediario deve applicare il regime generale dell'anagrafe dei conti , delle segnalazioni, senza poter ovviamente distinguere i "soldi scudati" dai "soldi non scudati" (su cui insomma non si può mettere una specie di "bollino blu" per renderli immuni quando lasciano il porto sicuro del conto dove erano rientrati). E' abbastanza facile capire perchè la somma scudata non è più tassata con l'apposita imposta di bollo qualora sia uscita dal conto: non è la "perdita della secretazione", ma la trasformazione in "soldi come tutti gli altri", la confusione col resto del patrimonio del contribuente a bloccare il prelievo. Una volta usciti i soldi, il prelievo aggiuntivo potrebbe rimanere solo "saltando l'intermediario" e dirigendosi a chi aveva fatto lo scudo; un pò come la nostra proposta originaria di due anni fa, di un prelievo ulteriore a chi voleva utilizzare lo scudo come condono (se vuoi il condono paghi un altro quid, altrimenti accontentati del monitoraggio!). Quindi, non è che si perde la segretezza sul conto di partenza, ma non la si acquista sul conto di arrivo. Quindi  il conto di partenza, e l'operazione di scudo,  non hanno nulla "da perdere", ma non sono in grado di trasmettere ulteriori dosi di riservatezza. Ad esempio , se il contribuente muore , il fenomeno successorio non è "scudato" ed il conto riservato dovrà essere inserito nell'imponibile dell'imposta sulle successioni; se prima della morte il conto scudato viene svuotato con un bonifico a mogli, figli o amanti, costoro non saranno protetti da alcuno scudo, ma non è che "si disvela in sè" il conto di partenza. Ad essere segreto, insomma, è "il conto" di appoggio dello scudo, non "la somma", e sotto questo profilo l'evasore si porta nella tomba il proprio peccato di tanti anni prima. Questa dovrebbe essere la logica, in base alle norme, ma confesso di non averla verificata con le montagne di bla bla bla interpretativi, intrisi di giusta cautela su un tema imbarazzante, se provenienti dalle istituzioni. E tesi al consueto parlare senza dire nulla se provenienti dalla pubblicistica.  

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