Corte costituzionale, previdenza, e scorciatoia delle "leggi di bilancio"Loading... Stampa
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Economia, diritto e tassazione
Scritto da Raffaello Lupi   
Sabato 31 Gennaio 2015 13:46

Ho letto spesso l'articolo 75 della costituzione a proposito del divieto di referendum sulle leggi tributarie, specie quando fu presentato quello sulle ritenute alla fonte. Ricordo quando si cercava, equilibristicamente, di distinguere tra norme disciplinatrici delle imposte e norme relative alla loro applicazione. Mi era sempre sembrato che il divieto si giustificasse

 col rischio, agli occhi dei costituenti,  di referendum demagogici, che suggestionano, con promesse di riduzione delle imposte, un elettorato inconsapevole dei benefici  derivanti dai servizi pubblici.  Non mi sono posto mai direttamente il problema di quali fossero invece le leggi di bilancio sottratte al referendum, ma immaginavo che fossero le leggi in senso formale, relative agli stanziamenti di bilancio attribuiti ai vari settori della macchina pubblica. Pensavo insomma, forse ingenuamente, che si trattasse della legge di approvazione del bilancio statale. Non immaginavo affatto che le leggi con riflessi di bilancio potessero diventare "leggi di bilancio", anche perchè la questione vale nei due sensi, anche per le leggi che riflettono sul bilancio una diminuzione di spesa. Pare assurdo, ma se, ad esempio, un referendum propone di abolire una istituzione che comporta spese, magari i tribunali militari  oppure le missioni di pace all'estero, o altre attività con riflessi di  bilancio...Forse che allora pure le relative norme sono "leggi di bilancio"? Su queste questioni la corte costituzionale era intervenuta in passato e se ne trova traccia nel passaggio della sentenza in esame che anticipa l'obiezione, escludendo che possano considerarsi "di bilancio"  « innumerevoli leggi di spesa» (sentenza n. 16 del 1978), ancorché (e per il solo fatto che) perseguano obiettivi di «contenimento della spesa pubblica» (sentenza n. 12 del 2014) , per passare poi ai legami evanescenti secondo cui sono, viceversa, "di bilancio" quelle che «presentino "effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività" delle leggi di bilancio, da essere sottratte a referendum, diversamente dalle altre innumerevoli leggi di spesa». A tal fine la sentenza sfodera un evanescente giro di parole, nè vero nè falso,  secondo cui sono leggi di bilancio quelle che hanno un (riporto testualmente in giallo)  "legame genetico, strutturale e funzionale con le leggi di bilancio sia tale che le norme sostanziali collegate incidano direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche e siano essenziali per realizzare l'indispensabile equilibrio finanziario» (sentenza n. 2 del 1994), in modo da rientrare nella «manovra di bilancio» (sentenza n. 35 del 1985). 

Viene così allargata, e fatta oggetto di valutazioni sostanzialistiche, personalizzabili secondo insondabili criteri di opportunità politica della Corte, una carattersitica che mi sembrava formale; lo studiavamo anche all'università, quando esisteva ancora l'esame di "contabilità di stato", a proposito della suddetta natura formale-contabile  delle leggi di bilancio indicate sopra. E poi, visto che le leggi tributarie sono per definizione "di bilancio", sarebbe stato del tutto superfluo parlare di "leggi tributarie" se l'espressione "leggi di bilancio" fosse stata interpretata come dice la Corte. E poi, la paura di referendum demagogici, tipica delle leggi tributarie, dove si rinviene per quelle "di bilancio"?. Questa interpretazione porta anche a considerare "di bilancio" le leggi di entrata, come quelle di vendita del patrimonio pubblico!. Infine questa forzatura  dobbiamo usare criteri estemporanei,  cronologici (vicinanza con la manovra di bilancio) , o quantitativi (ammontare coinvolto), o di reinterpretazione delle finalità, distinguendo quanto pesi la necessità di "fare cassa" tra gli obiettivi della normativa oggetto di referendum. Nasce quindi l'insondabile categoria delle leggi "di bilancio", in quanto più o meno abbastanza "limitrofe", concetto simile alla cintura dei pantaloni (per non dire di peggio), che ognuno si aggiusta come gli pare.

E' una questione che travalica l'atteggiamento sul referendum sulla legge Fornero, ma distinguiamo tra dispositivo e motivazione. L'opportunità o la correttezza politica del dispositivo non giustifica motivazioni disorientanti. Tanto più che l'inammissibilità del referendum avrebbe potuto essere sancita più propriamente con un pò di coraggio. Prima di tutto collegandosi all'elaborazione dottrinale secondo cui i contributi previdenziali solo per molti versi veri e propri tributi, sia pure di scopo, in quanto per molti versi finalizzati a una prestazione verso  il relativo soggetto erogante (cfr i riferimenti nel post di stevanato su questa stessa sentenza); questo argomento si sarebbe potuto saldare con la considerazione secondo cui, a prescindere dalla natura tributaria dei contributi previdenziali, nel microsistema dell'art.75 della costituzione, anche per i cotnributi sussisteva il rischio di quei referendum demagogici che il costituente ha inteso evitare. Mescolando quanto precede con la genericità dei quesiti si poteva arrivare al risultato utilizzando solo di sponda la questione delle "leggi di bilancio". Una corte costituzionale che ha considerato le riduzioni di spesa come tributi, per salvare le pensioni d'oro, oltre tutto in conflitto di interessi, come scritto su questo post, avrebbe potuto  motivare in modo un po' meno asettico. E soprattutto senza  un polverone autoreferenziale di riferimenti alla precedente giurisprudenza della stessa corte, dove la coerenza istituzionale porta ad un curioso paradosso: quando prendi una cantonata una volta, la puoi prendere per sempre, semplicemente riferendoti alla tua precedente giurisprudenza!. Una migliore motivazione avrebbe giovato alla credibilità della Corte, almeno tra i quei pochi giuristi che non si aspettano "insegnamenti" dalle corti, ma si aspettano che non siano le corti a fare confusione. Il compito delle corti è dedidere, non costruire concetti, che spetta agli studiosi. Sentenze come questa, per prendere una scorciatoia, finiscono per confondere la dottrina e i giuristi, che sarebbe il meno, ma anche per perdere ogni volta un pezzettino della loro credibilità. Il che è un danno per il paese.  

 

ANNO 2015 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 24 (Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici) del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, giudizio iscritto al n. 162 del registro referendum.
Vista l'ordinanza dell'11 dicembre 2014, con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 20 gennaio 2015 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Andrea Manzi e Luca Antonini per Calderoli Roberto, Candiani Stefano, Centinaio Gian Marco e Munerato Emanuela nella qualità di rappresentanti del Comitato promotore Lega Nord e l'avvocato dello Stato Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.‒ Con ordinanza dell'11 dicembre 2014, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) e successive modificazioni, ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare abrogativo, promossa da quindici cittadini italiani (con annuncio pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 febbraio 2014, serie generale, n. 46), sul quesito così inizialmente formulato: «Volete Voi che sia abrogato: il decreto-legge n. 201 recante "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici", convertito in legge con modificazioni dall'art. 1, comma 1, legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo risultante per effetto di modificazioni e integrazioni successive, limitatamente all'articolo 24?».
2.− L'Ufficio centrale, con la stessa ordinanza – ritenuto «opportuno [...] provvedere all'integrazione del quesito per inserire [...] la rubrica della disposizione oggetto della richiesta referendaria suddetta» − ne ha così ridenominato il titolo: «Abrogazione delle disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di cui all'art. 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 (convertito dalla legge n. 214 del 2011)».
3.− Il Presidente della Corte costituzionale, ricevuta comunicazione dell'ordinanza, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 14 gennaio 2015, disponendo che ne fosse data comunicazione ai sensi dell'art. 33 della legge n. 352 del 1970.
4.− In prossimità della camera di consiglio del 14 gennaio 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha depositato una memoria con la quale chiede che la richiesta di referendum abrogativo, del predetto art. 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, sia dichiarata inammissibile.
A tal fine, la difesa erariale deduce che la richiesta referendaria non sarebbe tale da soddisfare, anzitutto, il requisito dell'omogeneità del quesito, coinvolgendo esso tutte le disposizioni in materia di trattamenti pensionistici, sia pubblici che privati, oltre a norme in materia di perequazione delle pensioni, di riequilibrio della previdenza per i liberi professionisti e un Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'occupazione giovanile e delle donne.
Inoltre, la norma di cui si chiede l'abrogazione, introducendo nuovi principi in tema di trattamenti previdenziali, costituirebbe "una disposizione della manovra finanziaria del 2011, produttiva di effetti collegati in via diretta ed immediata alla legge di bilancio" e, dunque, non sottoponibile, di per sé, a referendum ai sensi dell'art. 75 Cost.
5.− La trattazione del giudizio di ammissibilità della suddetta richiesta di referendum – già fissata per la data del 14 gennaio 2015 – è stata, con ordinanza in pari data, rinviata all'udienza camerale del 20 gennaio successivo, in adesione alla richiesta in tal senso formulata dai cittadini suoi presentatori, non risultando nei loro confronti ritualmente perfezionata la notifica del provvedimento di fissazione della data della precedente udienza, della quale gli stessi dichiaravano di essere venuti solo tardivamente aliunde a conoscenza.
6.− Nel termine di cui all'art. 33 della legge n. 352 del 1970, la difesa dei predetti presentatori ha, quindi, depositato memoria, nella quale si sostiene che la norma oggetto della presente richiesta di referendum – diversamente dalle «Norme per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della L. 23 ottobre 1992, n. 421», di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (strutturate nell'ambito di una legge di delega e preannunciate nei documenti di programmazione finanziaria), oggetto della declaratoria di inammissibilità del referendum di cui alla sentenza n. 2 del 1994 − si risolva in un «intervento straordinario, annunciato e adottato quasi in contemporanea, in alcun modo riconducibile alla legge di stabilità» e, quindi, alla categoria delle leggi di bilancio.

Considerato in diritto

1.‒ La Corte è chiamata a pronunciarsi sull'ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214 (da ora, più semplicemente d.l. n. 201 del 2011): richiesta dichiarata legittima, con ordinanza dell'11 dicembre 2014, dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, che ha modificato il correlativo quesito, con attribuzione del seguente titolo: «Abrogazione delle disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di cui all'art. 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 (convertito dalla legge n. 214 del 2011)».
2.− Il citato art. 24 aggrega, nei commi da 1 a 31-bis, di cui si compone, una variegata serie di «disposizioni in materia di trattamenti pensionistici» relativa ai settori del lavoro sia pubblico che privato, sia subordinato che autonomo e dei liberi professionisti; e che attengono sia alla "nuova" pensione di vecchiaia che a quella "anticipata" (sostitutiva della precedente pensione di anzianità); contemplano misure concernenti la contribuzione di solidarietà e il blocco della perequazione automatica delle pensioni; prevedono anche l'istituzione di un «Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle donne» (comma 27) e disciplinano la tassazione delle indennità di fine rapporto e di quelle in favore di amministratori di società di capitali (comma 31).
3.− La richiesta in esame è inammissibile per motivi che attengono sia alla natura della normativa che si intende abrogare, sia alla struttura del quesito.
3.1.− In relazione al primo profilo – anche a prescindere dalla natura tributaria, ostativa alla sottoponibilità a referendum ex art. 75 Cost., della su citata disposizione, di cui al comma 31, inserita all'interno dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, considerato come aggregato unitario e indiviso dalla richiesta abrogativa – rileva il divieto di ammissibilità del referendum abrogativo di leggi di bilancio, di cui al medesimo precetto costituzionale, riferibile al complessivo contenuto disciplinatorio del predetto art. 24.
3.1.1.− Al riguardo, questa Corte – sulla premessa che la interpretazione letterale delle cause di inammissibilità testualmente descritte nell'art. 75 Cost. deve essere integrata «da una interpretazione logico-sistematica, per cui vanno sottratte al referendum disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall'art. 75, che la preclusione debba ritenersi sottintesa» (sentenza n. 16 del 1978) – ha già avuto modo di precisare, con riguardo alla categoria, in particolare, delle «leggi di bilancio», che – se non possono, agli effetti del divieto sub art. 75 Cost., a questa equipararsi «le innumerevoli leggi di spesa» (sentenza n. 16 del 1978), ancorché (e per il solo fatto che) perseguano obiettivi di «contenimento della spesa pubblica» (sentenza n. 12 del 2014) – sono, viceversa, a detta categoria riconducibili quelle leggi che «presentino "effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività" delle leggi di bilancio, da essere sottratte a referendum, diversamente dalle altre innumerevoli leggi di spesa». Con l'ulteriore puntualizzazione che un tale «stretto collegamento si può ritenere sussista se il legame genetico, strutturale e funzionale con le leggi di bilancio sia tale che le norme sostanziali collegate incidano direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche e siano essenziali per realizzare l'indispensabile equilibrio finanziario» (sentenza n. 2 del 1994), in modo da rientrare nella «manovra di bilancio» (sentenza n. 35 del 1985).
3.1.2.− In applicazione di tali principi, sono già state ritenute inammissibili due richieste di referendum relative al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, recante «Norme per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della L. 23 ottobre 1992, n. 421», in ragione, appunto, del ravvisato stretto collegamento, «nel tempo», degli effetti del suddetto atto legislativo «all'ambito di operatività delle leggi di bilancio», anche in correlazione alla sua specifica finalità di «stabilizzazione del sistema per dare sicurezza ai pensionati attuali e futuri sulla tenuta finanziaria del sistema stesso» (sentenza n. 2 del 1994).
La difesa dei promotori ha, a tal riguardo, sostenuto che lo «stretto collegamento» con l'ambito di operatività della legge di bilancio – ravvisato dalla ricordata sentenza n. 2 del 1994 rispetto alla disciplina pensionistica di cui al decreto legislativo n. 503 del 1992 – non possa essere, però, analogamente individuato nella norma oggetto dell'attuale richiesta referendaria. E ciò perché si tratterebbe, in questo caso, di «un intervento straordinario, annunciato ed adottato quasi in contemporanea», con un decreto-legge, «e non di un intervento strutturato nell'ambito di una legge di delega e preannunciato nei documenti di programmazione finanziaria», «come invece era accaduto per il d.lgs. n. 503 del 1992».
La stessa difesa − dopo aver sottolineato «come la legge di stabilità per il 2012 (legge 12 novembre 2011, n. 183) sia stata promulgata oltre venti giorni prima dell'adozione (6 dicembre) del decreto-legge n. 201 del 2011» − ha poi ancora sostenuto che ciò sia «dirimente» al fine di «escludere che il suddetto decreto-legge possa ritenersi collegato in modo genetico e funzionale con quelle leggi di bilancio per le quali l'art. 75 della Costituzione esclude il referendum».
3.1.3. – L'argomento non è fondato.
Il «collegamento» alla legge di bilancio, agli effetti della inammissibilità del referendum, ben può, infatti, riferirsi anche a provvedimenti a detta legge successivi, ove formalmente e sostanzialmente correttivi o integrativi della stessa, che si rendano necessari per l'equilibrio della manovra finanziaria.
Questa evenienza è espressamente prevista e disciplinata dalla disposizione di cui al comma 6 dell'art. 10-bis della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196), come introdotta dall'art. 2, comma 3, della legge 7 aprile 2011, n. 39 (Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri), in vigore dal 13 aprile successivo, la quale prevede che, in tal caso, «il Governo [...] trasmette una relazione al Parlamento nella quale indica [...] gli interventi correttivi che si prevede di adottare».
Come noto, la riferita procedura è stata applicata, per la prima volta, proprio con riguardo al d.l. n. 201 del 2011.
Nella Relazione al Parlamento, presentata il 4 dicembre 2011, il Governo evidenziava come − in ragione delle recenti tensioni sui mercati finanziari − «per mantenere gli impegni assunti in sede europea» si rendesse, appunto, necessaria una manovra correttiva [della precedente legge n. 183 del 12 novembre 2011] equivalente a circa l'1,3 per cento del Prodotto interno lordo – incidente, per una parte rilevante sul settore previdenziale – ed espressamente qualificava tale intervento come "collegato" alla manovra di finanza pubblica per il triennio 2012-2014.
Ed è in ragione di ciò che, in sede di esame (per la conversione in legge) del d.l. n. 201 del 2011, è stata applicata la disposizione di cui all'art. 123-bis, comma 3-bis, del Regolamento della Camera, relativa al regime di ammissibilità delle proposte emendative di provvedimenti collegati alla manovra di finanza pubblica (Intervento del Presidente Giorgetti, in Commissioni Riunite V e VI, seduta dell'8 dicembre 2011 – Atti Camera n. 4829, XVI Legislatura). E, anche in sede di discussione e approvazione in Senato (651ª Seduta, 22 dicembre 2011), il disegno di legge n. 3066, di conversione del d.l. n. 201 del 2011, è stato espressamente qualificato come «Collegato alla manovra finanziaria».
Il collegamento della norma che si intende sottoporre a referendum con la legge di bilancio è ulteriormente, ed inequivocabilmente, del resto, dimostrato dal fatto che la disposizione di cui all'art. 5 della legge n. 183 del 2011 (in materia di trattamenti pensionistici e, segnatamente, sull'elevazione del requisito anagrafico ad anni 67 per chi matura il diritto al pensionamento dall'anno 2026), è stata abrogata proprio dal comma 9 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, che, pertanto, è venuto ad incidere su un aggregato, importante, della manovra di bilancio, con evidenti prospettive di ampliare l'orizzonte della sostenibilità finanziaria stessa (anticipando la progressione in avanti del requisito anagrafico).
In definitiva, proprio gli evidenziati profili di contenuto e procedurali, che sostanziano la portata dell'art. 24 e ne hanno caratterizzato l'origine, rendono immediatamente percepibile la differenza di piani sui quali si collocano l'anzidetta disposizione oggetto del quesito referendario ed una «qualunque legge» che «persegua obiettivi o produca effetti di contenimento della spesa pubblica in vista del riequilibrio del bilancio statale» (sentenza n. 12 del 2014); una distanza, dunque, che, anche nel caso in esame, mantiene intatta l'esigenza di non ampliare eccessivamente l'orbita del divieto di cui all'art. 75, secondo comma, Cost.
3.2.− Ulteriore, a sua volta decisivo, motivo di inammissibilità della odierna richiesta di referendum è costituito dalla palese carenza di omogeneità del quesito. Ciò che, nella loro memoria, i promotori neppure hanno contestato, insistendo, invece, sui molteplici aspetti di criticità che paleserebbe la disciplina recata dall'art. 24 e, tra questi, in particolare quello della sua incidenza pregiudizievole su una estesa platea di destinatari; censure, queste, che, come tali, non possono però radicare alcun scrutinio in questa sede, giacché estranee all'ambito oggettivo del presente giudizio di ammissibilità ai sensi della legge costituzionale n. 1 del 1953.
La richiesta in esame – proponendosi di sottoporre ad abrogazione in modo indistinto l'intero art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 – investe, infatti, all'interno della stessa (di per sé) ampia e variegata materia dei «trattamenti pensionistici», una pluralità di fattispecie differenziate, sia in relazione alle forme di pensione (stante l'autonomia disciplinatoria della «pensione di anzianità» rispetto a quella, cosiddetta ora, «anticipata»), sia con riguardo alla pluralità delle categorie di soggetti interessati (lavoratori pubblici, privati, subordinati, autonomi, liberi professionisti), cui corrispondono non uniformi regimi previdenziali; e coinvolge, altresì, disposizioni normative che attengono alle aliquote contributive dei soli lavoratori autonomi, alla perequazione automatica, alla contribuzione di solidarietà ed alla istituzione di un Fondo per favorire l'occupazione giovanile e delle donne, oltre ad una disposizione eccentrica ed estranea alla materia previdenziale come quella di natura tributaria sulla tassazione anche dei compensi degli amministratori di società di capitali.
Si tratta, dunque, nella specie di un "aggregato indivisibile di norme", tale che «l'elettore si troverebbe a dover esprimere un voto bloccato su una pluralità di atti e disposizioni diverse» (sentenza n. 12 del 2014), con conseguente compressione della propria libertà di convincimento e di scelta, a presidio della quale, appunto, è posto il requisito della omogeneità del quesito, al fine di garantire l'autenticità della espressione della volontà popolare (sentenze n. 47 del 1991, n. 65 e n. 64 del 1990, n. 27 del 1981, ex plurimis).
4.− L'art. 1 della successiva legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2015», nei suoi commi 113, 117, 707, 708 e 709, ha, a sua volta, inciso in senso modificativo su disposizioni (in particolare su quelle di cui al comma 10 e al comma 2) dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011.
Tale modifiche sono evidentemente prive di rilievo agli effetti dell'odierno giudizio di (esclusa) ammissibilità del referendum abrogativo del citato art. 24, anche se, ex post, ulteriormente confermano il collegamento della disciplina, che ne forma oggetto, con gli obiettivi e i contenuti, di lungo periodo, della manovra finanziaria.

Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, richiesta dichiarata legittima, con ordinanza dell'11 dicembre 2014, dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI

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