Corte costituzionale, previdenza, e scorciatoia delle "leggi di bilancio" |
Economia, diritto e tassazione | |||
Scritto da Raffaello Lupi | |||
Sabato 31 Gennaio 2015 13:46 | |||
Ho letto spesso l'articolo 75 della costituzione a proposito del divieto di referendum sulle leggi tributarie, specie quando fu presentato quello sulle ritenute alla fonte. Ricordo quando si cercava, equilibristicamente, di distinguere tra norme disciplinatrici delle imposte e norme relative alla loro applicazione. Mi era sempre sembrato che il divieto si giustificasse col rischio, agli occhi dei costituenti, di referendum demagogici, che suggestionano, con promesse di riduzione delle imposte, un elettorato inconsapevole dei benefici derivanti dai servizi pubblici. Non mi sono posto mai direttamente il problema di quali fossero invece le leggi di bilancio sottratte al referendum, ma immaginavo che fossero le leggi in senso formale, relative agli stanziamenti di bilancio attribuiti ai vari settori della macchina pubblica. Pensavo insomma, forse ingenuamente, che si trattasse della legge di approvazione del bilancio statale. Non immaginavo affatto che le leggi con riflessi di bilancio potessero diventare "leggi di bilancio", anche perchè la questione vale nei due sensi, anche per le leggi che riflettono sul bilancio una diminuzione di spesa. Pare assurdo, ma se, ad esempio, un referendum propone di abolire una istituzione che comporta spese, magari i tribunali militari oppure le missioni di pace all'estero, o altre attività con riflessi di bilancio...Forse che allora pure le relative norme sono "leggi di bilancio"? Su queste questioni la corte costituzionale era intervenuta in passato e se ne trova traccia nel passaggio della sentenza in esame che anticipa l'obiezione, escludendo che possano considerarsi "di bilancio" « innumerevoli leggi di spesa» (sentenza n. 16 del 1978), ancorché (e per il solo fatto che) perseguano obiettivi di «contenimento della spesa pubblica» (sentenza n. 12 del 2014) , per passare poi ai legami evanescenti secondo cui sono, viceversa, "di bilancio" quelle che «presentino "effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività" delle leggi di bilancio, da essere sottratte a referendum, diversamente dalle altre innumerevoli leggi di spesa». A tal fine la sentenza sfodera un evanescente giro di parole, nè vero nè falso, secondo cui sono leggi di bilancio quelle che hanno un (riporto testualmente in giallo) "legame genetico, strutturale e funzionale con le leggi di bilancio sia tale che le norme sostanziali collegate incidano direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche e siano essenziali per realizzare l'indispensabile equilibrio finanziario» (sentenza n. 2 del 1994), in modo da rientrare nella «manovra di bilancio» (sentenza n. 35 del 1985). Viene così allargata, e fatta oggetto di valutazioni sostanzialistiche, personalizzabili secondo insondabili criteri di opportunità politica della Corte, una carattersitica che mi sembrava formale; lo studiavamo anche all'università, quando esisteva ancora l'esame di "contabilità di stato", a proposito della suddetta natura formale-contabile delle leggi di bilancio indicate sopra. E poi, visto che le leggi tributarie sono per definizione "di bilancio", sarebbe stato del tutto superfluo parlare di "leggi tributarie" se l'espressione "leggi di bilancio" fosse stata interpretata come dice la Corte. E poi, la paura di referendum demagogici, tipica delle leggi tributarie, dove si rinviene per quelle "di bilancio"?. Questa interpretazione porta anche a considerare "di bilancio" le leggi di entrata, come quelle di vendita del patrimonio pubblico!. Infine questa forzatura dobbiamo usare criteri estemporanei, cronologici (vicinanza con la manovra di bilancio) , o quantitativi (ammontare coinvolto), o di reinterpretazione delle finalità, distinguendo quanto pesi la necessità di "fare cassa" tra gli obiettivi della normativa oggetto di referendum. Nasce quindi l'insondabile categoria delle leggi "di bilancio", in quanto più o meno abbastanza "limitrofe", concetto simile alla cintura dei pantaloni (per non dire di peggio), che ognuno si aggiusta come gli pare. E' una questione che travalica l'atteggiamento sul referendum sulla legge Fornero, ma distinguiamo tra dispositivo e motivazione. L'opportunità o la correttezza politica del dispositivo non giustifica motivazioni disorientanti. Tanto più che l'inammissibilità del referendum avrebbe potuto essere sancita più propriamente con un pò di coraggio. Prima di tutto collegandosi all'elaborazione dottrinale secondo cui i contributi previdenziali solo per molti versi veri e propri tributi, sia pure di scopo, in quanto per molti versi finalizzati a una prestazione verso il relativo soggetto erogante (cfr i riferimenti nel post di stevanato su questa stessa sentenza); questo argomento si sarebbe potuto saldare con la considerazione secondo cui, a prescindere dalla natura tributaria dei contributi previdenziali, nel microsistema dell'art.75 della costituzione, anche per i cotnributi sussisteva il rischio di quei referendum demagogici che il costituente ha inteso evitare. Mescolando quanto precede con la genericità dei quesiti si poteva arrivare al risultato utilizzando solo di sponda la questione delle "leggi di bilancio". Una corte costituzionale che ha considerato le riduzioni di spesa come tributi, per salvare le pensioni d'oro, oltre tutto in conflitto di interessi, come scritto su questo post, avrebbe potuto motivare in modo un po' meno asettico. E soprattutto senza un polverone autoreferenziale di riferimenti alla precedente giurisprudenza della stessa corte, dove la coerenza istituzionale porta ad un curioso paradosso: quando prendi una cantonata una volta, la puoi prendere per sempre, semplicemente riferendoti alla tua precedente giurisprudenza!. Una migliore motivazione avrebbe giovato alla credibilità della Corte, almeno tra i quei pochi giuristi che non si aspettano "insegnamenti" dalle corti, ma si aspettano che non siano le corti a fare confusione. Il compito delle corti è dedidere, non costruire concetti, che spetta agli studiosi. Sentenze come questa, per prendere una scorciatoia, finiscono per confondere la dottrina e i giuristi, che sarebbe il meno, ma anche per perdere ogni volta un pezzettino della loro credibilità. Il che è un danno per il paese.
ANNO 2015 REPUBBLICA ITALIANA composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, ha pronunciato la seguente nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 24 (Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici) del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, giudizio iscritto al n. 162 del registro referendum. Ritenuto in fatto 1.‒ Con ordinanza dell'11 dicembre 2014, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) e successive modificazioni, ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare abrogativo, promossa da quindici cittadini italiani (con annuncio pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 febbraio 2014, serie generale, n. 46), sul quesito così inizialmente formulato: «Volete Voi che sia abrogato: il decreto-legge n. 201 recante "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici", convertito in legge con modificazioni dall'art. 1, comma 1, legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo risultante per effetto di modificazioni e integrazioni successive, limitatamente all'articolo 24?». Considerato in diritto 1.‒ La Corte è chiamata a pronunciarsi sull'ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214 (da ora, più semplicemente d.l. n. 201 del 2011): richiesta dichiarata legittima, con ordinanza dell'11 dicembre 2014, dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, che ha modificato il correlativo quesito, con attribuzione del seguente titolo: «Abrogazione delle disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di cui all'art. 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 (convertito dalla legge n. 214 del 2011)». Per Questi Motivi dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, richiesta dichiarata legittima, con ordinanza dell'11 dicembre 2014, dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
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