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Home Controlli e contenzioso Decidere per una ragione, motivare per un'altra. Normale
Decidere per una ragione, motivare per un'altra. Normale PDF Stampa E-mail
Controlli e contenzioso
Scritto da Raffaello Lupi   
Mercoledì 29 Maggio 2013 22:37

Stamattina scorrevo un paragrafo del volume "La politica della legalità. Il ruolo del giurista nell'età contemporanea, di Claudio Luzzati - Il Mulino - 2005, incuriosito da un titolo come "vi spiego la  discrezionalità" o qualcosa del genere, ho cercato di

approfondire, ed ho capito due cose. Prima di tutto che davanti a qualsiasi testo di scienze sociali, dove un lettore di cultura superiore è provvisto degli strumenti per capire si pone un diverso problema. Quello di capire se l'autore parla senza dire nulla, con stereotipi apparentemente in tema, oppure "dice qualcosa", ma sotto un profilo diverso da quello che il lettore si aspettava di trovare. Escluso che Luzzati parlasse senza dire nulla, egli però si poneva da un punto di vista un pò fuorviante, cioè quello se "i giudici creano diritto", cioè sul solito rapporto tra diritto e legislazione. Dove sarebbe forse bastato rispondere che la legge condiziona il giudice , ma alla fine sempre lui decide, ancorchè consapevole che la legge potrà essere utilizzata per criticarlo. Lo stesso però avveniva per i valori, in quanto i giudici  sono sempre per definizione "funzionari", a riprova che "tutto il diritto è amministrativo", e tutti valutano qualcosa. L'intrusa nel circuito valutativo  è la legge, che irrigidisce i valori, e qualche volta restringe talmente i margini di valutazione del funzionario, da dare l'impressione che egli non ce li abbia mai. Si passa così dai casi in cui la discrezionalità "c'è ma non si vede" a generalizzazioni in cui si pretende che essa non ci sia mai, o che si veda anche quando è impercettibile. Era qualche considerazioni del genere che avevo in mente e volevo ritrovare in Luzzati. Partendo da questo spunto però ho riletto il precedente post sull'appiattimento del diritto sulla legislazione, e su una differenza tra "motivazione reale" e "motivazione apparente" che a prima vista parrebbe preludere a una copertura argomentativa di vere e proprie opzioni politiche da parte dei giudici. Che  però di solito non c'è , in quanto si tratta di una mera diversa facilità di motivazione. Magari il motivo tecnico vero è solo intuito dal giudice, che non si sente sicuro a formularlo, ripiegando su una motivazione stereotipa, ma tranquillizzante, che porta allo stesso risultato. Anche qui l'abuso della discrezionalita' del giudice è rarissimo... e in genere quando c'è il giudice riesce a non farsene neppure accorgere...

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