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Home Controlli e contenzioso Società cancellate: un nuovo calvario per gli uffici amministrativi delle imposte
Società cancellate: un nuovo calvario per gli uffici amministrativi delle imposte PDF Stampa E-mail
Controlli e contenzioso
Scritto da Raffaello Lupi   
Lunedì 14 Maggio 2012 06:56
Gianluca Boccalatte, un bravo professionista ed un nostro amico, dà notizia di una "corretta" sentenza sul sole24ore, che si colloca in un nuovo  incubo per gli uffici fiscali, cioè quello delle società cancellate, in quanto la società si considera estinta con la cancellazione, anche se
residuano debiti. Tutto sommato non è una questione specifica di tributario, nè di amministrativo, dove però bisogna conciliarla coi termini di decadenza per far valere la pretesa fiscale. L'ufficio si può rivolgere ai soci dopo la scadenza del termine per la società? Ci sono  già state sentenze tributarie secondo cui l'attività degli uffici , quantunque inutiliter data "ante termine" di decadenza, sarebbe valsa ad interromperlo e quindi consentire la notifica dell'atto ad altri contribuenti. E' una di quelle questioni "di nicchia" da cui non dipende la richiesta delle imposte, ma è un impiccio amministrativo  - pratico notevole. Una bella rogna pratica, insomma, anche col fantasma della responsabilità per danno erariale. Dove si può chiedere un aiuto al legislatore solo dopo avergli detto di cosa abbiamo bisogno, ed avergliela "venduta in termini  mediatico-politici", obiettivo ostacolato dall'appiattimento del diritto  sulla legislazione e dalla connessa paralisi cerebrale, prima di tutto nell'accademia.  Rispetto alla quale gli sforzi di Gianluca Boccalatte, e di tutti gli altri professionisti  che si cimentano in compiti pubblicistici, per rimediare in qualche modo al'inadeguatezza dell'accademia, sono  del tutto insufficienti. Io sto battendo la strada dell'interruzione della decadenza, anche per gli atti amministrativi, compresi quelli tributari. Vi terrò informati, intanto leggetevi l'articolo di Gianluca dal sole 24 ore, su cui magari vedremo di riprendere il tema se la redazione di norme e tributi è d'accordo.
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tr Lombardia. L'ufficio può rivalersi sui soci nei limiti delle somme prelevate o sul liquidatore se non ha pagato
Srl estinta, stop all'accertamento
Va annullato l'atto nei confronti della società cancellata dal registro imprese
Testo
Suggeriti
Gianluca Boccalatte
Nessun atto impositivo può essere legittimamente emesso nei confronti di una società cancellata dal registro delle imprese. A stabilirlo la sentenza 27/49/12 della Ctr Lombardia.
Il contenzioso ha avuto origine da un accertamento Ires e Irap notificato a una società a responsabilità limitata a oltre un anno dopo la cancellazione dal registro delle imprese (avvenuta nel 2008).
Pur essendo state sollevate anche questioni relative al merito della pretesa erariale, i giudici sia in primo che in secondo grado si sono soffermati esclusivamente sul tema degli effetti della cancellazione delle società dal registro delle imprese sull'azione di accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria. A tal proposito, il ricorso presentato dal liquidatore (nel caso specifico, anche socio unico) della società aveva richiesto l'annullamento dell'atto impugnato perché illegittimamente indirizzato a una società cancellata dal registro delle imprese e, quindi, da ritenere estinta. Nel dettaglio, l'atto impositivo individuava come destinatario la società in liquidazione ed era stato notificato presso il liquidatore.
Secondo l'ufficio, la società oggetto di accertamento non si sarebbe estinta per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, in quanto l'evento estintivo si sarebbe verificato solo dopo il soddisfacimento di tutti i debiti sociali.
La Ctr ha respinto l'appello presentato dal fisco contro la sentenza di primo grado, richiamando a fondamento delle proprie conclusioni quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 2945 del Codice civile, nel testo entrato in vigore il 1° gennaio 2004 (per effetto della riforma del diritto societario operata dal Dlgs n. 6/2003).
I giudici milanesi hanno fatto leva sui principi fissati dalla sentenza n. 4062/2010 delle Sezioni unite. In quell'occasione, la Cassazione ha precisato che, per effetto delle modifiche legislative intervenute, la cancellazione di una società dal registro delle imprese ha natura costitutiva, comportando quindi l'estinzione della società cancellata a ogni effetto di legge.
Applicando questo principio generale alla controversia, la Ctr ha chiarito che l'eventuale azione «dei creditori insoddisfatti, tra cui l'amministrazione finanziaria, può essere intentata soltanto nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi».
Pertanto, il collegio d'appello ha respinto anche l'ulteriore argomentazione difensiva avanzata dalle Entrate. Nell'appello, l'Agenzia aveva sottolineato come l'accertamento (pur indirizzato alla società) fosse stato «materialmente» notificato al liquidatore e socio unico della società: vale a dire, all'unico soggetto potenzialmente responsabile – ai sensi dell'articolo 2945 del Codice civile – delle somme dovute nei confronti dei creditori rimasti insoddisfatti dopo l'estinzione della società.
I giudici hanno negato valore a tale circostanza, chiarendo che «l'amministrazione finanziaria in qualità di soggetto creditore insoddisfatto avrebbe dovuto agire nei confronti dei soci o del liquidatore», notificando un atto impositivo indirizzato a questi ultimi.
Di fatto, la sentenza 27/49/12 finisce con il tracciare una sorta di vademecum per il futuro. Prima di emanare un atto diventa cruciale verificare se il destinatario non si sia nel frattempo estinto. In questo caso si potrà procedere solo verso i soggetti individuati dall'articolo 2945 del Codice civile, a condizione che sussistano i presupposti indicati dalla norma. Per eventuali richieste ai soci la verifica comporterà un semplice controllo di dati disponibili in Anagrafe tributaria. Mentre per poter agire contro il liquidatore saranno necessari un atto adeguatamente motivato e la dimostrazione della sussistenza di una colpa a questi imputabile

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Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-05-2012, n. 7327

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO' Stefano - Presidente

Dott. DI IASI Camilla - Consigliere

Dott. CIRILLO Ettore - rel. Consigliere

Dott. CARACCIOLO Giuseppe - Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1520/2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- ricorrente -

contro

XXX SRL IN LIQUIDAZIONE (già cessata e cancellata dal Registro delle Imprese) in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA ......, presso lo studio dell'avvocato ...., che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ....., giusta delega a margine;

D.M., socia e legale rappresentante di XXXX SRL in liquidazione, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ...., presso lo studio dell'avvocato ......, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ....., giusta delega a margine;

D.V.I., in qualità di liquidatore di XXX SRL in liquidazione, elettivamente domiciliata in ROMA ...., presso lo studio dell'avvocato XXXXX, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati XXXXXXXXXX, giusta delega a margine;

- controricorrent i -

avverso la sentenza n. 111/2006 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 22/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/01/2012 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il ricorrente l'Avvocato FIORENTINO, che ha chiesto l'accoglimento;

udito per i controricorrent i, l'Avvocato xxxx, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo



01. Con sentenza del 22 novembre 2006, la CTR - Lombardia ha rigettato l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate nei confronti della S.r.l. XXX in liquidazione, confermando l'annullamento dell'avviso di accertamento notificato il 21 dicembre 2001 per maggiori Irpeg e Ilor relative all'anno d'imposta 1995.

Ha motivato la decisione ritenendo che: a)non era affatto provata la prima censura, con la quale il Fisco aveva eccepito che la procura ad litem fosse stata rilasciata dall'ex legale rappresentate della società contribuente quando gli era già subentrato il liquidatore;

b) era inammissibile, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, la seconda censura con la quale il Fisco aveva genericamente denunciato l'insufficienza motivazionale della sentenza di prime cure con riferimento all'errato apprezzamento del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, legittimante l'accertamento induttivo - analitico alla luce dei dati estimativi forniti dall'UTE sui valori di vendita di taluni capannoni e della conseguente antieconomicità delle operazioni;

c) era, comunque, infondata la seconda censura, atteso che la contribuente venditrice aveva offerto spiegazioni dello scostamento estimativo, in relazione al mancato completamento delle rifiniture degli immobili e dell'assenza d'interesse a una sottofatturazio ne dei prezzi di vendita, pregiudizievole per gli acquirenti fruitori dei benefici della c.d. legge Tremonti.

02. L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della Soc. contribuente, del suo liquidatore ( D.V. I.) e del suo socio-amministr atore ( D.M.), affidandolo a quattro mezzi.

03. Resistono con tre separati controricorsi la S.r.l. XXX in persona dell'ex liquidatore D.V.I., nonchè in proprio la stessa D.V.I. quale ex liquidatore e D.M. quale ex socio-amministr atore, formulando tutti le stesse eccezioni preliminari d'inammissibili tà del ricorso per intervenuta cancellazione della S.r.l. XXX dal registro delle imprese in data 26 gennaio 2005.

L'Agenzia replica con memoria e contestuale istanza di trattazione (L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 26 mod. dal D.L. 22 dicembre 2011, n. 212, art. 14, comma 1).

Motivi della decisione



04. Deve pregiudizialmen te esaminarsi l'eccezione d'inammissibili tà del ricorso, sollevata nei controricorsi, cui è seguita la memoria dell'avvocatura e-rariale. L'eccezione è fondata.

05. Può darsi per pacifico, siccome risultante dalle allegazioni delle parti in appello e in cassazione e, oramai, definitivamente riconosciuto dal Fisco nell'ultima memoria (1), che la S.r.l. XXX in liquidazione è stata cancellata dal registro delle imprese in data 26 gennaio 2005. 06. Osserva, dunque, questa Corte che l'odierno ricorso è stato proposto e notificato in data 4 gennaio 2008, allorquando la società aveva da tempo cessato di esistere ai sensi dell'art. 2495 c.c., novellato dal D.Lgs. n. 6 del 2003 (C. 22547 e 22548/2010, 6924 e 29240/2011; SU 4060/2010), conseguendone l'inammissibili tà dello stesso.

07. Questa Sezione, con riferimento però a società di persone, ha recentemente rilevato che, in seguito alla riforma del diritto delle società, non si può dubitare del fatto che la cancellazione dal registro delle imprese produca l'estinzione della società anche in presenza di debiti insoddisfatti o rapporti non definiti; da ciò sorge una comunione fra i soci sui beni eventualmente residuati dalla liquidazione ovvero sopravvenuti alla cancellazione, mentre è connaturato all'effetto estintivo il venir meno del potere di rappresentanza dell'ente estinto in capo al liquidatore (ord. 22863/2011. Conf. S.U. 4060/2010 e C. 22548/2010).

08. Quanto al subentro dei soci alla società per l'esercizio delle azioni dei creditori insoddisfatti (nella specie l'amministrazio ne erariale), nei limiti e alle condizioni dalla legge stabilite (cfr. art. 2495 c.c., comma 2), e quanto all'eventuale responsabilità del liquidatore nei casi previsti dalla legge, si rendono necessarie alcune precisazioni. L'Avvocatura delle Stato nelle sue ultime difese e nella discussione orale avanza la tesi che, una volta cessata la contribuente società di capitali, le succedano "ex lege" i protagonisti della compagine sociale (nella specie l'ex liquidatore e l'ex socio-amministr atore), evocati in cassazione con notifica del ricorso effettuata personalmente a costoro, a loro volta regolarmente costituitisi con autonomi controricorsi.

09. Orbene, dalla sentenza d'appello si apprende che l'impugnazione della decisione di prime cure è stata proposta nei confronti della S.r.l. XXX in liquidazione, in persona del liquidatore D.V. I., e depositata il 7 luglio 2005. Dalle relate di notifica in calce all'odierno ricorso, si rileva che esso è stato indirizzato alla S.r.l. XXX in liquidazione, presso i suoi difensori e presso la sua sede, nonchè personalmente all'ex liquidatore D.V.I. e al socio ex rappresentante legale D.M.. Ciò non vale a configurare gli effetti di cui agli artt. 110 e 111 c.p.c., in qualche modo adombrati dalla difesa erariale.

10. Con riguardo ai crediti per imposta sul reddito delle persone giuridiche i cui presupposti si siano verificati a carico della società, è riconosciuta all'amministrazio ne finanziaria dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, (applicabile alle sole imposte sui redditi D.Lgs. n. 46 del 1999, ex art. 19) azione di responsabilità nei confronti del liquidatore, nel caso in cui egli abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al loro pagamento.

Si tratta di azione esercitabile alla duplice condizione che i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e che sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima (cfr. SU 2820/1985; C. 2768/1989, 9688/1995, 8685/2002).

11. Il carattere proprio di tale obbligazione, che deriva dall'inosservan za da parte del liquidatore di uno specifico obbligo di legge su lui gravante, comporta, inoltre, che una tale responsabilità possa essere invocata dall'amministrazio ne finanziaria solo una volta realizzatesi le suddette due condizioni, nell'ordinario termine decennale di prescrizione. Essa, infatti, non è di per sè equiparabile all'obbligazion e derivante dalla responsabilità verso i creditori (artt. 2394 e 2456 c.c., ora art. 2495 c.c.), nè qualificabile come coobbligazione nei debiti tributari (cfr. SU 2079/1989).

Essa è, invece, riconducibile alle norme degli artt. 1176 e 1218 c.c., (C. 12546/ 2001), con onere per l'Amministrazio ne di provare d'avere iscritto i relativi crediti quantomeno in ruoli provvisori, dei quali poter pretendere il pagamento in via sussidiaria nei confronti del liquidatore (C. 10508/2008).

12. Pertanto, non essendovi a carico del liquidatore alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari, bensì responsabilità per obbligazione propria "ex lege" (artt. 1176 e 1218 c.c.), non può sostenersi che, estinta la contribuente società di capitali, il processo tributario possa proseguire nei confronti dell'ex liquidatore.

13. Ad analoghe conclusioni si giunge per la posizione dell'ex amministratore. Infatti, il rapporto giuridico in forza del quale, ai sensi dell'art. 36 cit., pure l'amministrator e è tenuto a rispondere in proprio delle imposte non pagate, non è fondato sul dolo o sulla colpa, ma ha la sua fonte in un'obbligazione "ex lege" di cui il predetto è anch'egli responsabile secondo le norme comuni degli artt. 1176 e 1218 c.c., in relazione agli elementi obiettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società e della distrazione di tali attività a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute (C. 9688/1995).

14. Invero, quello verso il liquidatore e l'amministrator e è credito dell'amministrazio ne finanziaria non tributario, ma civilistico, il quale trova titolo autonomo rispetto all'obbligazion e fiscale, costituente mero presupposto della responsabilità stessa (SU 2767/1989), ancorchè detta responsabilità debba essere accertata. dall'Ufficio con atto motivato da notificare ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario (art. 36 cit., penult. e ult. co.).

15. Ad approdi non dissimili si deve giungere, infine, con riguardo alla posizione dei singoli soci, che nella specie, a quanto consta dalla sentenza d'appello, non hanno mai partecipato come tali al giudizio di merito.

L'art. 36 cit., comma 3, stabilisce che i soci, i quali abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o abbiano avuto in assegnazione beni : sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. E', dunque, consentito al Fisco di agire in via sussidiaria nei confronti dei soci "prò quota", salvo quanto previsto dal vecchio art. 2456 e dal nuovo art. 2495 c.c., Per quest'ultima norma, dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.

16. Dal chiaro tenore testuale delle disposizioni tributarie e civilistiche, la responsabilità dei soci per le obbligazioni fiscali non assolte è limitata alla parte da ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell'attivo nelle varie fasi.

Sicchè il Fisco, il quale voglia agire nei confronti del socio, è tenuto a dimostrare il presupposto della responsabilità di quest'ultimo, e cioè che, in concreto, vi sia stata la distribuzione dell'attivo e che una quota di tale attivo sia stata riscossa (C. 19732/2005), ovvero che vi siano state le assegnazioni sanzionate dalla norma fiscale.

Ne deriva che, una volta liquidata e cancellata la contribuente società di capitali, non si realizza una semplice modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio con il Fisco, dovendo questo accertare in capo ai soci i requisiti prescritti dalla legge per la responsabilità diretta (cfr. art. 36 cit., penult. e ult. co.), il che comporta un ampliamento del "thema decidendum" e del "thema probandum" del tutto non consentito nel giudizio di legittimità. 17. Infine, sempre nella memoria finale, l'avvocatura erariale (1, ult. cpv.) sostiene che "la XXX S.r.l., ancorchè cessata, si è costituita nel giudizio di appello, così manifestando l'inequivoca accet-tazione del contraddittorio sul gravame di merito, e lasciando così che la questione sulla supposta carenza di legitimatio ad causam della compagine societaria fosse definita - come è in effetti avvenuto - con formazione di un giudicato in parte qua - in termini comunque negativi". 18. Il rilievo è manifestamente infondato, poichè esso invoca una decisione implicita sulla legittimazione "ad causam", asseritamente ravvisabile nella decisione in appello sul merito, con pretesa idoneità alla formazione del giudicato implicito.

La giurisprudenza di legittimità, invece, nega assolutamente la formazione di giudicato implicito preclusivo, ogniqualvolta venga in discussione la "potestas iudicandi", come per il difetto di "legitimatio ad causam" o dei presupposti dell'azione, la decadenza sostanziale dall'azione per il decorso di termini previsti dalla legge, la carenza di domanda amministrativa, etc..

In tutte queste ipotesi, infatti, difettano radicalmente i presupposti o le condizioni per il giudizio (SU 26019/2008).

19. In conclusione, l'odierno ricorso è stato proposto e notificato, allorquando la società aveva cessato di esistere, conseguendone l'inammissibili tà dello stesso.

Ogni ulteriore valutazione è preclusa a questa Corte, perchè il processo non solo non può proseguire nei confronti di una persona giuridica non più esistente (la Soc. XXX), ma non può proseguire neppure nei confronti dell'ex liquidatore ( D.V.) e dell'ex socio- amministratore ( D.), atteso che le disposizioni tributarie e civilistiche non prevedono alcun subentro automatico di costoro nei rapporti col Fisco.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo a favore di D.V.I. e D.M., quali parti costituite in proprio.

Invece, nulla è dovuto verso la Soc. XXX, la cui giuridica inesistenza travolge oltre al ricorso anche il suo controricorso ed esclude in sè ogni forma di regolamentazion e di spese a suo favore.

P.Q.M.



La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate a favore di D. V.I. e D.M. in Euro 5100 (di cui Euro 5000 per onorario) per ciascuna, oltre agli oneri di legge; nulla per la Soc. XXX. Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2012.
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CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA DEL 16 MAGGIO 2012, N. 7676
Svolgimento del processo

La commissione tributaria regionale del Lazio, sez. dist. di ….., con la sentenza in questa sede impugnata, ha confermato la decisione con la quale la commissione tributaria provinciale di ….. aveva accolto un ricorso di (X) s.r.l. avverso un avviso di accertamento a mezzo del quale erano stati recuperati a tassazione maggiori ricavi ai fini dell’Iva, dell’Irpef e dell’Irap. In sintesi, ha motivato la statuizione osservando che la verifica fiscale era stata basata sul disconoscimento di veridicità di alcune poste di bilancio per finanziamenti provenienti dai soci; ma che l’equazione, circa la corrispondenza a dette poste di ricavi non dichiarati, non era stata dimostrata.

Per la cassazione di questa sentenza, l’agenzia delle entrate ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. Il ricorso è stato proposto contro la società (peraltro cancellata dal registro delle imprese in data 23.5.2008) nonché, invocandosi il disposto ex art. 2495 c.c., contro (..) nella duplice sua qualità di unico socio e di liquidatore.

L’intimato ha replicato con controricorso.

Motivi della decisione

I. – Costituisce fatto pacifico, in causa, che la società (X) è stata cancellata dal registro delle imprese in data 23.5.2008. Va quindi prioritariament e esaminata l’eccezione – svolta nel controricorso – di inammissibilità e/o di improponibilità del ricorso per cassazione, questo essendo stato proposto, in data 18.10.2010, nei confronti della società, ancorché cancellata, e del socio e liquidatore (..). L’eccezione è nei termini che seguono fondata.

II. – Sulla questione, oggetto di non sopito dibattito dottrinale anche dopo la riforma del diritto societario conseguente al DLgs. n. 6 del 2003, degli effetti della cancellazione della società commerciale dal registro delle imprese, le sezioni unite di questa Corte hanno reso il principio che la cancellazione detta, ove l’adempimento abbia avuto luogo in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 4 DLgs. cit. (che, modificando l’art. 2495, 2° co., c.c., ha attribuito all’istituto efficacia costitutiva), determina l’immediata estinzione della società, indipendentemen te dall’esaurimento dei rapporti giuridici a essa facenti capo (v. sez. un. Cass. n. 4060/2010; Cass. n. 4061/2010; Cass. n. 4062/2010).

Risulta in tal modo definitivamente sancita la validità della tesi già espressa dalla Corte negli arresti successivi all’entrata in vigore della riforma del diritto delle società, nel senso di doversi ritenere estinta la società, che sia cancellata dal registro delle imprese, a prescindere dalla esistenza di crediti insoddisfatti e/o di rapporti non ancora al momento definiti [v., per varietà di applicazioni seppur relative a cancellazioni avvenute (al pari di quelle esaminate, invero, dalle sezioni unite) anteriormente al 1° gennaio 2004, Cass. n. 22548/2010; Cass. n. 24037/2009; Cass. n. 29242/2008; Cass. n. 25192/2008; Cass. n. 18618/2006].

In sistematica coerenza con simile riconosciuta efficacia costitutiva, questa sezione ha correlativament e affermato che l’effetto estintivo, producendosi anche in presenza di debiti insoddisfatti o di rapporti non definiti, determina l’insorgenza, da un lato, di una conseguente comunione fra i soci in ordine ai beni residuati dalla liquidazione (essendo legittima la cancellazione anche se il residuo attivo non è stato ancora ripartito), o sopravvenuti alla cancellazione; e, dall’altro, di una successione dei soci medesimi ai fini dell’esercizio, “nei limiti e alle condizioni stabilite”, delle azioni dei creditori insoddisfatti (v. Cass. n. 22863/2011).

La condizione testualmente fissata dall’art. 2495 c.c., ai fini della possibilità accordata ai creditori sociali di far valere i loro crediti, dopo la cancellazione della società, nei confronti dei soci, è che questi abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.

III. – Il profilo che viene in rilievo nel caso di specie, e che non ha precedenti nella giurisprudenza della Corte, attiene alla sorte dei rapporti processuali laddove la cancellazione della società sopravvenga in corso di causa o, come nella specie, dopo la sentenza gravata.

Può osservarsi che trattasi di tematica alla quale anche la dottrina processualistic a ha dedicato scarsa attenzione.

In linea generale, appare ancora legittima l’inferenza che, quanto ai rapporti processuali pendenti, la cancellazione della società resta equiparata alla morte della parte persona fisica, con conseguente soggezione dei processi in corso alle regole generali dettate dagli artt. 299 e segg. c.p.c.. Tanto sembra indirettamente confermato dalla previsione che ulteriormente compare nel 2° co. dell’art. 2495 c.c., chiaramente ispirata alla prescrizione di cui all’art. 303 c.p.c. e sintomatica dell’essersi giustappunto il legislatore mosso nell’ottica giurisprudenzia le tesa a equiparare l’estinzione della persona giuridica alla morte, appunto, della persona fisica. Ancorché debba essere evidenziato che una simile ottica è stata nel tempo associata, dalla giurisprudenza, ai fenomeni della fusione societaria, nelle sua varie forme, sui quali ha pure inciso la riforma del 2006 a mezzo della prescrizione di cui all’attuale art. 2504-bis c.c., indicativa del fatto che la fusione non comporta (più) l’estinzione di un soggetto e la correlativa creazione di un altro, ma si risolve in una vicenda solo evolutiva-modif icativa dell’unico soggetto, il quale conserva la propria identità seppure in un nuovo assetto organizzativo (v. sez. un. Cass. n. 2637/2006).

IV. – Tenuto conto della esposta efficacia della cancellazione della società secondo il ricordato regime dell’art. 2495 c.c., il presente ricorso è dunque da ritenere sicuramente inammissibile a misura del coinvolgimento della società oramai estinta (cfr. Cass. n. 22830/2010).

Non rileva – atteso il rigetto dell’impugnazione a suo tempo proposta dall’amministrazione – che l’estinzione sia avvenuta, nel caso di specie, dopo addirittura la sentenza di primo grado, e che la stessa non sia stata rilevata nel giudizio d’appello.

Il che – mantenuto il parallelismo – trova ideale matrice nel difetto assoluto di “giusta parte” dell’ente estinto, così come accade per l’ipotesi della morte, dopo la sentenza, della parte vittoriosa, che comporta (v. in progressione concettuale, sez. un. Cass. n. 11394/1996, sez. un. Cass. n. 15783/2005 e, infine, sez. un. Cass. 26279/2009) l’invalidità dell’instaurazione nei suoi confronti del giudizio di impugnazione indipendentemen te (come appunto infine affermato da sez. un. Cass. n. 26279/2009) dallo stato soggettivo dell’impugnante (qui in ogni caso consapevole dell’evento).

V. – Parimenti il ricorso è da ritenere inammissibile a misura del coinvolgimento del (..) nella qualità di liquidatore, atteso che codesta posizione non è quella di un successore processuale dell’ente estinto, sebbene quella di un soggetto gravato da responsabilità civile concorrente, subordinata, ai sensi dell’art. 2495, 2° co., c.c., al fatto che il mancato pagamento del debito sociale sia dipeso da colpa (o a fortiori da dolo); da una responsabilità, cioè, che rileva a titolo risarcitorio, per l’illecito (anche penalmente rilevante: art. 2633 c.c. ) discendente dall’aver chiuso la liquidazione senza aver provveduto al previo soddisfacimento di un creditore sociale.

Donde il liquidatore può infine essere destinatario di una separata azione risarcitoria, ma non della pretesa attinente al debito sociale.

VI. – Il punto più delicato è quello dell’azione di impugnativa involgente il socio.

Al riguardo il collegio osserva che l’estinzione della società, verificatasi dopo la sentenza presuppone la successione nel processo dei soci ai sensi dell’art. 110 c.p.c., e impone che il ricorso per cassazione vada proposto soltanto nei confronti di questi. Resta ferma, tuttavia, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la condizione in proposito stabilita dal più volte citato art. 2495, 2° co., c.c. – rapportata al limite della concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. La quale condizione non attiene soltanto alla concreta possibilità di successivo soddisfacimento del credito originariamente vantato nei confronti dell’ente collettivo, ma anche alla legittimazione processuale del socio ai fini della prosecuzione del processo originariamente instaurato contro la società.

E’ vero che la ragione della successione nel processo sta tutta all’interno della fattispecie di cui all’art. 110 c.p.c., non sempre correttamente interpretata dalla dottrina processualistic a nel contesto di trattazioni avvinte da impropri parallelismi con la ben diversa situazione di cui all’art. 110 c.p.c..

Ed è vero che la fattispecie che qui rileva prescinde del tutto dalla eventualità di una successione (universale o meno) nei diritti sostanziali controversi, essendo modellata sulla sola previa rilevanza della estinzione del soggetto che ha assunto la qualità di parte nel processo pendente, stante che l’art. 110 c.p.c. si occupa solo di stabilire che vi sia un soggetto cui imputare gli effetti degli atti processuali, e – tra questi – della sentenza.

Coglie esattamente la sostanza del fenomeno l’autorevole opinione che osserva che il legislatore, nell’art. 110 c.p.c., ha scelto il successore universale al solo fine di proseguire l’attività processuale della parte venuta meno, perché una successione universale c’è in ogni ipotesi di venir meno della parte, a prescindere dal fatto che il successore sia anche tale quanto al diritto controverso.

E tuttavia resta fermo che, in linea generale, il socio – a differenza, per esempio, dell’erede che, in morte della persona fisica, ha accettato l’eredità intra vires, con beneficio d’inventario – non è, in quanto tale, un successore universale della società.

Lo diventa nella specifica ipotesi disciplinata dalla legge, in cui egli abbia riscosso la quota in base al bilancio finale di liquidazione. Solo in tal caso, cioè, può ammettersi, in senso generale e lato, che il socio succeda, seppure intra vires, nei rapporti giuridici facenti capo alla società.

Il che equivale a dire che la riscossione detta non costituisce soltanto il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale (in prosecuzione ideale della responsabilità per le obbligazioni sociali assunta al momento della costituzione della società), ma anche la condizione per la di lui successione nel processo già instaurato contro la società.

VII. – Nel caso di specie l’amministrazione ricorrente neppure ha dedotto (e men che meno ovviamente ha dimostrato) che una tal condizione si sia in concreto realizzata.

Il che comporta l’inammissibilità del ricorso anche a misura del coinvolgimento del (..) nella sua qualità di unico socio della estinta società (X), non essendo possibile inferirne la qualità di successore nel processo.

Così come, d’altronde, si rileva di impossibile apprezzamento la prova dell’interesse dell’amministrazione alla decisione finale verso il socio, al cospetto della ripetuta mancanza di riferimenti in ordine al limite della di lui responsabilità.

Il debito insoddisfatto, invero, è pur sempre un debito della società, solamente garantito dal socio nei termini tratti dalla corrispondente disciplina del tipo sociale. Per cui la mancanza di riferimenti al fatto che il socio abbia riscosso, o meno, la propria quota in base al bilancio finale di liquidazione impedisce di affermare l’esistenza della condizione rapportabile all’interesse ad agire. La quale richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche la prospettazione dell’esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, conseguente allo specifico intervento giurisdizionale richiesto, giacché il processo non può essere utilizzato in previsione di solo astratte esigenze.

Nella riferita deficitaria condizione, dunque, l’intero ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese processuali seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 6.000,00, di cui euro 200,00 per esborsi.
avatar FaGal
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La questione in realtà é circoscritta in termini di casistica e problematica alle persone giuridiche dotate di un'autonoma ed esclusiva responsabilità nei confronti dell'erario (in particolar modo le srl). Ma non é affatto secondaria in termini di gettito. E' vero che nella categoria delle società cancellate ci sta la l'impresa cartiera intestata al nullatenente che produce solo fatture di carta ma ci sono anche situazioni più sfumate in cui i comportamenti aziendali diventano difficili da analizzare a posteriori. Certo, se uno chiude l'attività volutamente in corso di processo lo fa scientemente, così come non appena abbia ricevuto notizia dell'avvio di un controllo fiscale. Quindi diviene piuttosto semplice quantomeno valutare la responsabilità dell'soggetto incaricato della liquidazione...Tuttavia sarebbe sufficiente, come spesso accade per la gestione dei rapporti fiscali, che il fisco fosse reso edotto in anticipo della volontà di chiudere l'attività con una segnalazione apposita, favorendo eventualmente il controllo di questi soggetti e prevedendo un termine di decadenza breve per l'attività di controllo che decorra dalla data di effettiva cancellazione. Per lo meno si attenua il rischio...
avatar lupaA
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Condivido pienamente la locuzione “impiccio amministrativo -pratico” da lei utilizzata.
Non sono invece pienamente d'accordo che si tratti di una questione non specifica di tributario visto che l'interpretazio ne della cassazione non solo ha effetti rilevanti sull'assetto normativo regolante l'attività dell'accertamen to e del contenzioso, che a parere personale dovrebbero essere opportunamente integrati (ad oggi un'eventuale attività di accertamento in capo a liquidatori, amministratori e soci a seguito della cancellazione della società è prevista solo nell'art. 36 del DPR 600/73 con le condizioni ivi previste) ma pone anche problemi in merito alla natura “tributaria” di un eventuale recupero operato ex art. 2945 c.c. (o 2312 o 2324 per le società di persone) in capo a liquidatori e soci.
Ipotizzando, infatti, che l'ufficio una volta venuto a conoscenza dell'avvenuta cancellazione della società sia ancora nei termini per procedere al recupero, nei limiti previsti dal c.c., del suo credito in capo alle persone fisiche che tipo di reddito andrebbe ad accertare? Per i soci di società di persone si potrebbe ancora parlare di reddito di partecipazione? E per quelli delle società di capitali o, ancora più complicato, per il liquidatore?
Forse non bisognerebbe fare alcun accertamento limitandosi a recuperare le somme richiedibili attraverso lo strumento del ruolo (analogamente a quanto sarebbe logico accadesse nelle ipotesi in cui l'accertamento in capo alla società si sia definito per mancata opposizione ante cancellazione).
In quest'ultimo caso, però, gli “aggrediti” potrebbero difendersi (ed il diritto di difesa non si nega a nessuno neanche se ha chiuso la società con fine fraudolento...) solo dopo la notifica della cartella che sarà certo piuttosto scarsa nelle motivazioni.
Personalmente credo che la strada da percorrere sia quella di prevedere con una norma ad hoc una nuova e specifica tipologia di atto di recupero/accertamento da notificare alle parti coinvolte.
Verrebbe così superato il problema della qualifica del “reddito” recuperato. E verrebbe inoltre garantito il diritto di difesa anche se l'esercizio dello stesso implicherebbe quasi sicuramente una inevitabile rimessa in discussione delle questioni di merito non definite in capo alla società (quel che è uscito dalla porta rientra dalla finestra...).
Sui termini per per far valere il credito tributario più che sull'ipotesi di un'interruzione dei termini di decadenza punterei, anche qui, su una norma che stabilisca tempi specifici da far decorrere non prima dell'avvenuta registrazione nel registro delle imprese della cancellazione.
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