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Una teoria per i tributaristi

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Home Controlli e contenzioso La gradazione dei motivi di ricorso(secondo il principio della domanda)
La gradazione dei motivi di ricorso(secondo il principio della domanda) PDF Stampa E-mail
Controlli e contenzioso
Scritto da Raffaello Lupi   
Lunedì 31 Ottobre 2011 13:21

Spesso vizi formali, di ordine procedurale, si accompagnano a vizi sostanziali degli atti amministrativi, forse anche al di là del settore tributario, e con riferimento all'attività generale delle pubbliche amministrazioni. Sul piano strutturale, a parità di gravità ed evidenza, si dovrebbero esaminare per primi i vizi formali, e quindi quelli sostanziali. Per economia processuale, si dovrebbe passare alla sostanza

solo dopo aver esaminatola forma. Però non è così semplice, in quanto esistono  dei vizi procedurali , quindi preliminari, che sono  molto più deboli di quelli sostanziali, ma che il privato (o meglio il suo legale) per comprensibile scrupolo non si sente di trascurare. Questi vizi preliminari finiscono quindi per assorbire inutilmente energie processuali, seguendo la tesi del loro carattere preliminare rispetto a quelli sostanziali. Mi chiedo quindi se, sullo sfondo della possibilità di non fare ricorso per questi vizi, non ci sia anche la possibilità di farli valere per mero scrupolo difensivo rispetto al vizio principale "di merito". Si tratterebbe cioè di chiedere al giudice se l'analisi dei motivi del ricorso  possa essere "gradata" in una scala di invalidità proposta dal ricorrente. Che il giudice, per carità, potrebbe anche non seguire, ma che potrebbe seguire senza sentirsi obbligato a sfiancarsi su motivi procedurali per arrivare a quelli sostanziali di merito ormai debilitato, affrontandoli in maniera sbrigativa. Col paradossale risultato che l'enunciazione "cautelativa" dei motivi procedurali "deboli" diventerebbe controproducente rispetto al motivo  sostanziale "forte". Un boomerang dove l'avvocato è coperto, ma il cliente rischia. Mettere i motivi procedurali alla fine mi sembra un espediente disorientante, e poco trasparente per i giudici. Che invece capirebbero meglio davanti a un ricorso  in cui i motivi procedurali sono presentati, ancorchè indicati prima, in linea subordinata al mancato accoglimento del motivo principale di merito, che la parte chiede di esaminare per primo. In linea subordinata, ove questo motivo sia respinto, si chiede di esaminare quelli procedurali. Sul piano dell'economia processuale, il contribuente si gioca dapprima le cartucce più forti, sperando di non far logorare il giudice su quelle più deboli, che altrimenti dovrebbero essere esaminate comunque, per andare con ogni probabilità al motivo sostanziale. In un ordine di gravità ed evidenza dei vizi. E' eccessiva l'alternativa di chiedere al contribuente o al suo legale di abbreviare il processo rinunciando definitivamente a questi motivi. Ma nulla vieta di enunciare un motivo preliminare in via subordinata, se ci si sente abbastanza forti  sul merito. Insomma, siccome il processo è ad istanza di parte, non si vede perchè la parte non  potrebbe prospettare un ordine preventivo (potremmo dire "prognostico") di gravità dei vizi. Del tutto  analogamente a come, nel processo civile, l'attore può graduare le proprie domande rispetto ai propri interessi sostanziali.

Commenti

avatar Domenico Riccio
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Geniale come al solito. E utile ad entrambi i contendenti. Ma si potrebbe pensare a qualcosa di meno immediatamente applicabile, ma più incisivo: lo spiego con questo post Per l'applicazione nel processo tributario dell'art. 530 cpp" e mi riferisco alla possibilità de jure condendo di pensare ad una graduazione delle sentenze di accoglimento tributarie.
avatar Domenico Riccio
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Il post di cui faccio parola è pubblicato all'indirizzo: http://www.domenicoriccio.com/2011/11/rinuncia-alla-a gevolazione-pri ma-casa.html
avatar Simone Covino
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E' un dato di fatto che l'enunciazione preliminare di motivi procedurali (ad es. il mancato rispetto dei 60 giorni tra termine della verifica e notifica dell'avviso di accertamento), oltre a trovare scarsi riscontri presso i giudici, finisce con l'annacquare anche gli argomenti difensivi "forti". Quando invece la comunicazione in sede giudiziale dovrebbe ispirarsi all'aureo principio: "Se non li puoi convincere confondili; ma se li puoi convincere, perché li confondi"?

Spesso dietro c'è la velleità di rispondere analiticamente - e specularmente - ad atti impositivi vaghi e prolissi, che possono in qualche modo confondere il giudice orientandone la decisione pro fisco (in fondo è pur sempre un'amministrazi one pubblica!). Oppure è semplicemente il professionista che si vuole tutelare - talvolta anche a danno del cliente, come rileva Lupi.

avatar michele sonda
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Ottime osservazioni procedimentali. Sta di fatto che molte volte è imbarazzante dover snocciolare in primo grado motivi pregiudiziali di tipo formale (mi riferisco in paricolare alle problematiche delle cartelle di pagamento) di fronte a giudici desiderosi di stringere i tempi del dibattimento. Comunque vale sempre la regola che un buona difesa deve avere sempre l'occhio ben fisso sulla giurisdizione di legittimità e quindi dispiegarsi a 360 gradi.
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