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Una teoria per i tributaristi

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Home Controlli e contenzioso raddoppio dei termini: la corte costituzionale non avalla norme assurde: le crea!!
raddoppio dei termini: la corte costituzionale non avalla norme assurde: le crea!! PDF Stampa E-mail
Controlli e contenzioso
Scritto da Raffaello Lupi   
Martedì 26 Luglio 2011 05:51

la sentenza della corte costituzionale sul termine di accertamento raddoppiato evita accuratamente di porsi il dubbio se fosse corretta l'interpretazione proposta dal giudice del rinvio. Cioè se effettivamente la norma censurata comportasse la riapertura dei termini scaduti. Ne abbiamo parlato in un altro blog, ma mi chiedo se vale la pena di parlarne ancora, di stare a soppesare

quanto pesino le espressioni, le sfumature, i dettagli di cui nessuno tra un mese si ricorderà più, come accade per tutta la pubblicistica appiattita sui "materiali" dalla sentenza Philip Morris, a quelle sulla solidarietà, a quelle sul giudicato interno, a quelle sull'abuso del diritto. A forza di trascurare il ragionamento per "dire che qualcuno ha detto" o di abbozzare articoli del tono  "qualcono ha detto e siccome qualcun altro ha detto quest'altro se ne deduce che..." Quindi non mi sono neppure sobbarcato bene la lettura della sentenza, perchè mi è bastato il disgusto metodologico che mi hanno ispirato le parti che ho letto. Dove appunto la corte non avalla una disposizione irrazionale, ma finisce addirittura per crearla. La questione di legittimità costituzionale del raddoppio dei termini non andava posta, perchè c'erano tutti gli strumenti interpretativi per concludere che il raddoppio si applicava solo ai termini "non scaduti" al momento dell'inizio delle indagini. Non ripeto gli argomenti indicati nel mio precedente Blog che si sommano alla "ratio legis" di non costringere il potere amministrativo ad agire in mancanza delle informazioni che sarebbero potute derivare dalla indagine penale. Cos'è la riapertura dei termini scaduti? Una sanzione? Una punizione per i cattivi , anzi i "sospetti cattivi"? Quando ho visto la sentenza chiamare  "termine breve" il termine ordinario, come se il termine ordinario fosse diventato quello raddoppiato, ho smesso di leggerla. Mi è passata la voglia. Eppure la corte si sarebbe potuta rifugiare nella ordinanza di inammissibilità, come ha fatto per l'accertamento prematuro, in quanto il giudice non aveva esplorato la possibilità di interpretare la disposizione in senso costituzionalmente orientato, cioè di ragionevolezza. La sentenza è un florilegio di stucchevoli stereotipi, mentre avrebbe potuto cavarsi d'impaccio in modo più elegante. Non dico con una sentenza di accoglimento, ci mancherebbe, e neppure con una interpretativa di rigetto, dove apertamente si affermava che i termini scaduti non raddoppiavano (ci mancherebbe anche qui!), ma con una ordinanza di inammissibilità per mancato approfondimento della questione interpretativa, nel senso suddetto. Si noti che l'interpretazione sulla riapertura dei termini scaduti era talmente ridicola che neppure l'agenzia delle entrate se l'era mai sentita di metterla per iscritto in una interpretazione ufficiale, pur servendosene in concreto (per la serie "la uso ma non la teorizzo". Ora invece, all'interno dell'amministrazione finanziaria, le frange più inclini a prendersi tutto il potere possibile, alla vita "comoda" potranno farsi forti della sentenza della corte costituzionale. Sarà possibile sostenere che i termini sono raddoppiati per tutti: e nessuno può sentirsi tranquillo al di sotto delle soglie di punibilità perchè nessuno può escludere che un qualsiasi funzionario del fisco "dubiti" della genuinità di un documento di spesa, magari per 30 euro di acquisto di cancelleria, o di una ricevuta taxi. Quindi il fantomatico obbligo di un rapporto alla procura con raddoppio dei termini, esiste per tutti. Un ulteriore insegnamento a non fare assegnamento sui giudici, a cominciare da quelli costituzionali. Bisogna contare solo sulle nostre forze, sulla riflessione e sulla ricostruzione graduale del senso comune, presso l'opinione pubblica, di cui bisogna superare il disorientamento, la schizofrenia davanti alla tassazione attraverso le aziende. Una schizofrenia che è diffusa dappertutto, non solo in una comunità scientifica che non riesce ad essere più di un centro smistamento cattedre, ma presso le aziende, dove il quotidiano di confindustria pubblica un commento di De Mita che è ancora più sconclusionato della sentenza...leggetelo qui di seguito e ditemi se ci capite qualcosa...

Una decisione, di fronte all'introduzione di termini vietati dallo Statuto del contribuente che proibisce la proroga dei termini di prescrizione e decadenza, non può limitarsi, dal punto di vista della ratio che è alla base dello Statuto, a sostenere che quelle disposizioni non hanno rango costituzionale e non costituiscono parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità.

Questo ragionamento lo potrebbe fare un pretore, non chi deve andare alla ricerca della ratio costituzionale di una norma che impone un limite all'arbitrio della legge di superare quella definitività che è posta a tutela di un corretto rapporto fra contribuente e amministrazione.

Il problema è tutto qua. Che senso ha la presenza di termini se questi possono essere riaperti? La Corte nega che si tratta di riapertura di termini, ma di termini nuovi fissati dalla legge (ci mancherebbe altro!) operanti in presenza di una speciale condizione obiettiva senza che al l'amministrazione sia riservato alcun margine di discrezionalità (e ci mancherebbe altro!). Questo dell'automaticità diventa il tema ricorrente della sentenza. Il problema è se decorsi i termini normali possano essere introdotti nuovi termini in presenza di nuove circostanze. La funzione dei termini è la certezza dei rapporti: non credo sia consentito introdurne di nuovi perché gli elementi da accertare siano altri rispetto a quelli già accertabili. La disciplina non è una scaletta che varia in funzione dei tipi di presupposti che vengano in essere.

I termini "brevi", dice la Corte, operano in presenza di violazioni per le quali non sorge l'obbligo della sanzione penale mentre i termini raddoppiati operano in presenza di violazioni per le quali v'è l'obbligo della sanzione. Ma qui viene disattesa in modo clamoroso l'autonomia dei due procedimenti. L'amministrazione non opera in funzione del processo penale né viceversa. Il potere di accertamento è uno solo e non si fraziona in ragione del tipo di presupposto.

La Corte nascondendo la materia dietro un dito dice che non si tratta di riapertura di termini, ma di una successione di leggi nel tempo. Il fatto è che con il nuovo termine di accertamento l'amministrazione ha il potere di rideterminare nuove basi imponibili. Ma su un punto mi pare si possa essere d'accordo con la (frettolosa) decisione della Corte: là dove afferma che non viene retroattivamente riaperto un termine già scaduto, ma viene escluso che il raddoppio dei termini si applichi alle violazioni per le quali, alla data di entrata in vigore del decreto (4 luglio) fosse già decorso il termine di accertamento previsto dalla norma anteriore: «le disposizioni ... si applicano a decorrere dal periodo d'imposta per il quale alla data di entrata in vigore sono ancora aperti i termini pendenti». Anche il tema dell'incertezza viene superato nel ragionamento della Corte con l'affermazione che l'incertezza è meramente eventuale e dipende non dalla discrezionalità dell'amministrazione ma dalla conoscenza di fatti obiettivi. L'incertezza dipende dalla vanificazione della neutralità dei termini: decorsi questi non si possono far rivivere fatti che nel primo lasso di tempo l'amministrazione non è stata in grado di accertare tutto ciò che è accertabile. Le disposizioni denunciate sono dirette secondo la Corte a consentire la circolazione delle prove dal giudizio penale al procedimento tributario. Ma allora bisognerebbe superare il rapporto di autonomia fra i due processi. La sentenza insiste sull'inesistenza di arbitrio dell'amministrazione, perché opera solo in presenza di fatti obiettivi. Ma il problema è un altro: scaduti i termini che ragionevolmente la legge ha posto per l'accertamento non ci dovrebbero essere altri fatti che ridiano il potere di continuare nell'accertamento. Questo è in contrasto sia con la neutralità dei termini sia con l'esigenza di certezza del contribuente, un'esigenza di valore economico oltre che di valore giuridico.

Commenti

avatar FaGal
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Ma non é semplicemente che si tratta di un flusso giuridico http://www.accademiadellac rusca.it/img_usr/Profili_Lupoi.pdf normato male?

In altri ordinamenti come quello francese o tedesco il termine per le frodi fiscali é decennale ex lege, sostanzialmente il doppio di quello ordinario. Negli Stati Uniti addirittura per le frode fiscale non esiste un termine per il recupero dell'imposta a prescindere dalla prescrizione del reato....l'unica differenza tra i sistemi che noto, non marginale, é nella modalità di formulazione della regola italiana (retroattiva rispetto a fatti commessi prima dell'entrata in vigore e rimessa ad un atto d'impulso quale la segnalazione di reato), anziché prevista direttamente ex lege
avatar andreamanzitti
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Che dire? Da noi è davvero tutto sbagliato e non è neanche giusto sparare su chi ha sbagliato per ultimo.
Sbaglia chi fa le leggi, perché le spara sulla Gazzetta Ufficiale senza farle precedere da un minimo di approfondimento, senza dire quali obiettivi vuole raggiungere, senza fornire appigli per interpretatre la mitica "ratio legis". Poi sbaglia l'Agenzia, che consapevole della sua onnipotenza, non può limitarsi a fare solo l'accusa. Tra poco, i capi unità delle direzioni provinciali avranno il diritto di celebrare matrimoni.... Ci si aspetterebbe da loro un utilizzo misurato dello straordinario potere che hanno in mano. Sbagliano i giudici, insieme a chi ha scritto l'ordinamento giurisdizionale in materia tributaria (recidivo, oltretutto). E, alla fine, sbaglia anche il prof. Gallo che da quando siede all'altezza del Presidente della Repubblica (controllate piazza del Quirinale per credere) ha cambiato testa. Preferivo quella che aveva quando scriveva libri e pareri.
avatar FaGal
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Chi ha fatto la legge non ha avuto un feedback informativo sufficiente da parte della dottrina la quale non si é mai posta il problema fondamentale: serve una proroga del termine di accertamento (quando) e va collegata unicamente a fattispecie illecite? Per esempio, si potrebbe profilare la necessità di avere un termine più ampio e comunque differenziato per coloro che hanno omesso l'autotassazion e e sono sprovvisti di contabilità regolarmente tenuta; oppure rispetto a coloro che omettono di dichiarare redditi la cui base imponibile venga ricostruita ottenendo informazioni da Paesi con i quali non esiste non scambio rapido delle informazioni fiscali: tutti i casi citati in Francia (Livre des procédures fiscales article L169 reperibile su google) sono regolati allo stesso modo, cioé prevedendo un termine ex lege decennale, rispetto all'ordinario termine triennale. Il fisco ha bisogno di più tempo non solo per avvalersi di elementi provenienti da indagine penale (per fattispecie solo di rilevanza penale?) ma anche quando i mezzi ordinari di reperimento delle prove sono indisponibili (mancanza di dati in Anagrafe tributaria) e/o richiedono attività supplementari.
Ecco mi pare che invece le riflessioni si siano limitate al commento e all'interpretaz ione del dato positivo, secondo la consolidata tradizione accademica.

Si potrebbero fare altri esempi (termine di durata delle verifiche fiscali, giorni lavorativi giorni consecutivi, senza invece porsi il problema della durata complessiva del procedimento di verifica e accertamento, disciplinato in ogni sistema) sulla mancanza di elaborazioni concettuali anteposte al dato normativo...tornando sempre al solito problema di fondo posto da RL sul ruolo del giurista tributario...
avatar FaGal
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Similarly, the statute of limitations differs from country to country in terms of time
limits and consequences. For example, in most developed countries there is no time
limit in evasion cases where there is fraud. Even when there is no fraud, taxpayers
may sometimes be audited up to 10 years later. In contrast, many developing
countries impose much more rigid time limits on administrative action. In Colombia,
for example, returns, even if fraudulent, may only be audited within two years of
filing. To counter the obvious adverse effects on revenue of such limits on ‘normal’
good tax administration practice, Colombia has introduced substantial withholding on
all types of income and sales combined with a complex and slow system of tax
rebates. The initially bad strategic practice of legally overly restrictive limits on
auditing thus resulted in the introduction of still worse operational practices in the
form of deliberate over-withholdin g and an inadequate refund system.

tratto da
Benchmarking Tax Administrations in Developing Countries: A Systemic Approach
http://aysps.gsu.edu/isp/files/ispwp1104.pdf

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