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Una teoria per i tributaristi

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Home Controlli e contenzioso Prime impressioni sull’indicazione delle operazioni superiori a 3.000 euro: un elenco clienti e fornitori «con soglia»?
Prime impressioni sull’indicazione delle operazioni superiori a 3.000 euro: un elenco clienti e fornitori «con soglia»? PDF Stampa E-mail
Controlli e contenzioso
Scritto da Administrator   
Lunedì 14 Febbraio 2011 09:14

di Raffaello Lupi

Il provvedimento 22 dicembre 2010, emanato in attuazione dell’art. 21 del D.L. n. 78/2010, riguarda una tematica di grande importanza per le segnalazioni su cui si basa la tassazione attraverso le aziende. Avevamo infatti rilevato che la mancata utilizzazione delle aziende per «segnalare» gli «autonomi», cioè i piccoli commercianti e gli artigiani «non organizzati», era una delle principali lacune del nostro sistema. Però il problema non è uno di quelli risolvibili con un decreto-legge ed un provvedimento dell’Agenzia delle entrate, senza un quadro concettuale di riferimento delle opportunità e delle complicazioni connesse a questo tentativo di allargare l’ambito della tassazione attraverso le aziende. E’ bene per questo cominciare a parlarne in questo numero.

La carenza di segnalazioni rispetto al mondo del commercio e dell’artigianato

A prima vista il provvedimento dell’Agenzia delle entrate 22 dicembre 2010, sembra un elenco clienti e fornitori «con soglia» di 3.000 euro. Da tempo avevamo indicato su Dialoghi e in altre sedi[1] l’inidoneità della ritenuta d’acconto come strumento di segnalazione delle attività fiscalmente di impresa, ma inaffidabili, in quanto prive di un sufficiente grado di rigidità organizzative; quelle che, insomma, magari emettono la fattura e poi omettono di registrarla, o magari registrano una fattura su due. Semplicemente perché sono consapevoli di non essere segnalate al Fisco dal cliente, anche quando esso è una impresa organizzata o un ente non commerciale, ma di una certa rigidità. Segnalavamo perciò che il Fisco perde in questo modo una importante opportunità di avere direttamente segnalati, senza sforzo, i dati di un vero e proprio «mondo sommerso», cioè quello delle piccole attività che fatturano ad organizzazioni più grandi e poi omettono la registrazione dei relativi compensi. Se si pensa che questo è accaduto persino ad un campione di migliaia di professionisti, per compensi soggetti a ritenuta di acconto, possiamo immaginare dove questa ritenuta manca. Questa mancanza non è colmabile estendendo l’ambito di applicazione della ritenuta, che è uno strumento di riscossione delle imposte, non facilmente riadattabile a strumento di segnalazione degli imponibili per soggetti il cui valore aggiunto è modesto; dovrebbe essere infatti chiaro che, quando un commerciante o un artigiano ha elevati costi di produzione o di acquisto, non riesce ad assorbire finanziariamente l’anticipazione di imposta rappresentata dalla ritenuta. Occorre quindi andare verso altre logiche, abbandonando quelle «esattive» della ritenuta, ed utilizzando quelle «segnaletiche» della comunicazione. Conformemente alla nostra analisi della tassazione attraverso le aziende, pubblicata in uno degli aforismi fiscali del sito della Fondazione Studi Tributari, dove paragoniamo la moderna fiscalità ad un mare dove il contribuente grosso segnala o direttamente tassa quello piccolo. Purtroppo, la ritenuta d’acconto è sbilanciata sulla «tassazione» e la segnalazione era invece trascurata, salve le sirene dell’elenco clienti e fornitori, nato per altre finalità, e come abbiamo tante volte rilevato, difettoso per eccesso; per eccesso di informazioni e di analisi, che invece devono essere mirate, nell’interesse di un Fisco che già dispone di troppe fonti di innesco rispetto alle capacità di controllo; moltiplicare le possibili «fonti di innesco» ha certamente un indiretto effetto dissuasivo, ed induce alla tax compliance; gli operatori sanno anche bene che le fonti di innesco sono innumerevoli rispetto ai tempi e alle risorse umane per indagare; come fonte di innesco basterebbe una mera passeggiata per le pubbliche vie, confrontando i dati delle dichiarazioni con le caratteristiche dell’attività commerciale rilevate de visu. Penso che emergerebbero fonti di innesco superiori alle verifiche materialmente svolgibili. Il vero ostacolo, in una tassazione attraverso le aziende, non è la carenza di fonti di innesco, ma la loro impossibilità di essere usate a colpo sicuro, come ad esempio le ritenute d’acconto. Dove la segnalazione è talmente precisa da avere una forte portata dissuasiva, perché i dati segnalati dai sostituti possono essere utilizzati immediatamente, senza complesse attività di valutazione né richieste di chiarimenti; per essi si può usare un criterio meccanico, automatico, ancora pervaso di ragioneria; una ragioneria che appunto «chiede conto» degli sfasamenti tra dichiarazione del percettore e indicazioni dei sostituti di imposta; queste ultime si prestano infatti a una interpretazione abbastanza precisa, dove la soluzione di gran lunga più probabile è l’omessa dichiarazione, da parte del sostituito, della somma dichiarata dal sostituto.

La difficoltà di portare le ritenute su attività con valore aggiunto molto diverso

L’ottimo rapporto costi-benefici delle ritenute alla fonte non è facilmente estendibile ad attività con valore aggiunto molto diverso; la ritenuta alla fonte funziona bene su redditi ad elevata componente di lavoro, con un valore aggiunto elevato ed omogeneo[2]. Il valore aggiunto delle attività materiali, anche non organizzate, è infatti molto diverso, per la diversa incidenza dei costi di produzione; in questi contesti, una percentuale di ritenuta sufficiente per qualcuno decurterebbe, per altri, l’importo dei ricavi, con ingestibili crediti di imposta, in modo incompatibile con una snella gestione delle attività sottostanti. Occorrevano interventi personalizzati e complessi, come quello -occasionale degli anni ottanta - sulla ritenuta per agenti e rappresentanti di commercio, con diversificazioni della base imponibile. Ma l’attività progettuale, di elaborazione, omessa dagli studiosi, non può certo essere oggetto di supplenze amministrative, le quali risentono inevitabilmente degli impulsi della politica; questi ultimi sono diretti al consenso e alla coesione sociale, più che alla determinazione accurata della ricchezza ai fini tributari; su questo aspetto, se non se ne preoccupano gli studiosi, è assurdo aspettarsi supplenze dai politici e dalle istituzioni amministrative, il cui punto di riferimento sono, inevitabilmente, i confusionari sentiments della società. Che oscillano dalle «lotte all’evasione» di matrice sindacale, alle sortite sui «diritti del contribuente», la pressione fiscale più alta d’europa passando per una serie di atteggiamenti confusi e variamente intrecciati nelle stesse persone. Sono stati sufficienti questi inconvenienti, sulla cornice di una totale mancanza di identità della tassazione attraverso le aziende, per impedire che la ritenuta prendesse piede tra i redditi d’impresa, salvi quelli degli agenti e rappresentanti di commercio, in cui il «valore aggiunto» è spesso simile a quello dei professionisti.

Il risultato è una grande confusione, in cui va disperso l’enorme potenziale di segnalazioni ancora esprimibile dalle aziende, particolarmente sul comparto degli «autonomi d’impresa»; su questi ultimi sarebbe infatti possibile integrare le informazioni provenienti dalle ritenute di acconto sfruttando il sistema delle grandi aziende clienti. Oggi infatti gli «autonomi di impresa», non essendo soggetti ad alcuna ritenuta, non sono neppure «segnalati al Fisco», con la possibilità di redigere le fatture e di non registrarle, secondo una prassi più volte descritta su Dialoghi. Parlando con dirigenti dell’Agenzia delle entrate mi sono reso conto di quanto siano state efficaci alcune segnalazioni dell’elenco fornitori, che poi replica i passaggi logici delle segnalazioni dei clienti, attraverso le ritenute alla fonte.

L’utilità di un elenco fornitori mirato e l’eccesso del sistema degli elenchi del 2007

L’utilità dell’elenco fornitori si inseriva però in un sistema eccessivamente invasivo, anche per operazioni di poco conto, cosa che è stata corretta dal provvedimento in esame, portandosi però dietro altri inconvenienti. Ricordiamo che i dati dell’elenco clienti e fornitori erano meno immediatamente utilizzabili delle risultanze delle ritenute, e soprattutto rischiavano di applicarsi a una platea enormemente più ampia, estesa a tutte le operazioni business to business, tra aziende produttrici e grande distribuzione, tra zuccherifici e industria alimentare, Enel che segnala Telecom e viceversa, fino al professionista che si comprava la carta per la fotocopiatrice di studio. La ciliegina era il velleitario eccesso dell’elenco clienti, del tutto inutile, perché l’elemento per «incrociare» il dato proveniente dal cliente, nell’elenco fornitori, c’è già. Ed è la dichiarazione dei redditi del fornitore. Tanto è vero che le ritenute si basano su questo incrocio, tra dichiarazioni dei redditi del fornitore e segnalazione del cliente; a che serve, visto che già c’è la dichiarazione del fornitore, anche l’indicazione da parte sua del cliente?

Interrogativi sul provvedimento di dicembre 2010

Il principale pregio del provvedimento in esame, rispetto agli elenchi del 2007, è la «soglia», che lo mette al riparo da una serie di segnalazioni «minime». Però, a quanto pare dalla lettura, il provvedimento segue la logica dell’indicazione delle singole operazioni, anziché quella dell’ammontare complessivo annuo. In altri termini i soggetti tra cui intercorrono operazioni «sopra soglia» per milioni di euro, con decine o forse centinaia di fatture, sembrano dover segnalarle una per una, anziché cumulativamente. Forse si è temuto che, riferendo la segnalazione all’importo complessivo annuo, si dovesse obbligare il fornitore a tracciare anche importi «sotto soglia», che avrebbe potuto essere superata da acquisti successivi. Mi sembra però logica l’interpretazione secondo cui le operazioni «sopra soglia» possono essere rendicontate cumulativamente, ferma restando l’irrilevanza di quelle «sotto soglia»: vedremo l’interpretazione nella circolare dell’Agenzia delle entrate, al momento di andare in stampa, in corso di elaborazione.

Le fatture inferiori alla soglia sono recuperate dagli elenchi solo se inserite in un rapporto di durata, come un contratto di somministrazione, di fornitura stabile, cui va riferito, a consuntivo annuo, il limite di importo. E’ chiaro che deve esserci una previsione contrattuale che coordina le singole forniture, e che quindi non rientrano nella indicazione in esame tutte quelle operazioni «a sconto», in cui operazioni precedenti danno diritto a tariffe agevolate, o a bonus, su quelle successive, come le mille miglia di alcune linee aeree, le carte fedeltà dei carburanti o dei supermercati.

Rinviamo ad ulteriori approfondimenti le operazioni esenti diffuse su larga scala, come quelle bancarie o assicurative, che sono un microcosmo a parte.

Tutto da esplorare è il problema dell’identificazione del cliente da parte del fornitore, quando si tratta di acquisti effettuati da consumatori finali. Il provvedimento afferma che essi sono tenuti a fornire le proprie generalità al fornitore, ma non chiarisce quali obblighi abbia il fornitore di controllare eventuali dichiarazioni secondo cui l’acquisto è effettuato per «terzi», come il genitore, il fratello, l’amico, ecc. In questo aspetto, il provvedimento si addentra su un campo minato, inseguendo l’ambizioso obiettivo di essere un supporto ad un accertamento sintetico di massa, in controtendenza rispetto ad una idea cardine della tassazione attraverso le aziende, cioè che il reddito si individua meglio dove si produce anziché dove si spende. Comunque, su questa premessa, invece di indicare anche le forniture tra aziende produttive, nello stadio della materia prima o dell’ingrosso, si sarebbe potuto rendere obbligatoria la fatturazione per tutte le operazioni al dettaglio sopra soglia, secondo quanto esattamente indicato in questo paragrafo per il reverse charge su telefonini e informatica. Agire sull’IVA, anziché sulle imposte sui redditi, taglia via tutte le informazioni provenienti da istituzioni pubbliche e non commerciali verso autonomi di impresa: se un elettricista, un idraulico, un’impresa di ristrutturazioni edilizie, emette regolare fattura verso un comune, una Asl, un comando della GDF, o l’Agenzia delle entrate, e poi dimentica di registrarla, nessuna segnalazione dei suddetti clienti «istituzionali» può smascherarlo, semplicemente perché non è prevista (salvo che non si entri nei contratti di appalto, ma l’ordine di grandezza è maggiore).

La mia sensazione è che il legislatore, di qualunque colore politico, prenda sottogamba il problema di portare la tassazione attraverso le aziende dove esse non ci sono, o non arrivano.

Anche qui rispettiamo il motivo conduttore di Dialoghi, secondo cui le istituzioni non si criticano, ma si spiegano, cercando di destrutturarne i comportamenti. Non si può rimproverare alle istituzioni di aver ignorato un dibattito tecnico, che semplicemente manca, o si perde in una pubblicistica tortuosa e spesso sconclusionata, in cui anche Dialoghi finisce per perdersi. Si sono persi infatti i nostri suggerimenti di andare per gradi, iniziando ad obbligare le grandi aziende a segnalare i loro fornitori-impresa di piccole dimensioni, soggetti agli studi di settore; e non sotto pena di una sanzione formale irrisoria, come quella prevista dal D.L. n. 78/2010, che a molte aziende verrebbe voglia di pagare direttamente, evitando un lavoro molto più complesso e impossibile da svolgere senza cadere in qualche trappola. La sanzione indiretta avrebbe invece potuto essere la indeducibilità dei costi non segnalati.

Perché il Fisco non ha bisogno di tante informazioni da valutare, ma di meno informazioni potenzialmente spendibili, e che anche il contribuente vede come tali. Regolandosi preventivamente ed adempiendo, così come in genere si fa per le ritenute di acconto, cardine del sistema. Il rischio è che le indagini siano paralizzate dall’eccessività di fonti di innesco, troppo numerose per essere seguite, ed ognuna delle quali può provocare equivoci e falsi allarmi, con un costo in termini di sprechi di controlli, tempi ed energie. C’è un atteggiamento del «Piglio tutto poi vedo» , in cui la coop segnala Ferrero, e Ferrero segnala la coop. Come se il rito della segnalazione di massa fosse una specie di purificazione collettiva, che serve solo a soffrire per purgarci della piaga dell’evasione. Ma la strada è lunga, e avremo modo di riparlarne. Perché l’Agenzia delle entrate sta prendendo coscienza dei problemi veri della tassazione attraverso le aziende, e deve convincersi solo della necessità di contare sulle proprie forze, senza l’ausilio di una comunità scientifica che, in questo settore, deve ancora nascere come luogo di analisi, proposta e progetto.




[1] Vedasi già anche su R. Lupi, Evasione fiscale, paradiso e inferno, IPSOA, 2008, pagg. 194, poi «Tassazione aziendale in cerca di identità», allegato a Dialoghi Tributari n. 2/2010.

[2] Operatori ad alto valore aggiunto rispetto ai costi possono fronteggiare anche ritenute del 20%, come quella sul lavoro autonomo.

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