Abuso del diritto rilevabile di ufficio? Forse, ma non perchè "iura novit curia StampaLoading...
Arbitraggi elusivi
Scritto da Raffaello Lupi   
Sabato 12 Maggio 2012 06:50
Da tempo sostengo in tutte le sedi, compreso questo sito, che il modello legalistico-processuale della tassazione è fallito, portando allo spappolamento mentale sia i suoi cultori, veri (sono i piu' sfortunati) o finti (che lo seguono per far soldi). Una conferma dei danni di  questo approccio, rispetto a quello di diritto  amministrativo
delle imposte, sta nella sentenza sulla rileavbilità di ufficio  dell'abuso del diritto, commentata nell'articolo di Iorio, che segue. Ovviamente non critico la sentenza, perchè lo studioso sociale spiega le istituzioni, non le critica, nè si aspetta nulla da loro. Solo quello che sono..sono "il dato" con cui ci dobbiamo confrontare. Quando l'istituzione è scivolata su una buccia di banana, cadendo in un equivoco, la critica può essere implicita nella spiegazione del suo ragionamento, ma resta sempre spiegazione. Perchè lo studioso sociale che si rispetti non sale mai in cattedra a dire che le istituzioni  sbagliano o la sentenza è "somaria". Prima di tutto i giudici si preoccupano di emettere una sentenza "giusta", socialmente corretta, e su quella svalutazione l'indeducibilità "c'era". Poi l'ufficio l'aveva argomentata con l'art.61 anzichè con l'abuso del diritto, come in tutti i casi in cui esistono due possibili  argomentazioni  giuridiche, parzialmente sovrapposte, per legittimare un identico rilievo  "di diritto". Del tutto normale che la cassazione abbia pensato "vabbè stai a guardà il capello", e anch'io sono  d'accordo. Gli  argomenti, tipo iura novit curia, sono un pò forzati, rispetto a un contesto amministrativistico, dove il giudice non si trova davanti a un "petitum sostanziale" , che una volta individuato può anche essere riconsociuto con argomenti diversi. Qui c'è una autorità amministrativa che emette un atto autoritativo illegittimo , perchè fondato su una motivazione inconsistente, poi in corso di causa, fermo restando il dispositivo, modifica la motivazione. Forse in un'ottica di diritto amministrativo delle imposte non c'è da scandalizzarsi rispetto a questo aggiustamento di tiro. Ma gli argomenti  sono altri rispetto allo "iura novit curia" , di matrice civilistica. Le ragioni vere, che dovrebbe studiare la dottrina, quando ci sarà, forse mai, sono   di tipo amministrativistico, cioè la possibilità di correzione di un atto amministrativo sostanzialmente corretto, ma giuridicamente motivato in modo improprio. Comunque la sentenza "ci sta". La riflessione di iorio sulla nuova disposizione sull'abuso, inutile rispetto a un suo fondamento  costituzionale, è stimolante...più  di quelle dell'accademia appiattita sui "materiali" , anche se ingenuamente prende molto sul serio frasi  inserite per dare peso alla motivazione. Il legislatore è perfettamente libero di plasmare lo spirito dei vari sistemi e sottosistemi tributari. Però quando lo  spirito di un sistema viene aggirato, neppure il legislatore, per la contraddizion che nol consente, può negare che l'aggiramento  esista. Però si potrebbero vietare o condizionare contestazioni di  elusività, e a questo punto alla cassazione resterebbe solo da rimettere al giudice delle leggi la relativa questione. Lo so che, nel governo della legge, il giudice tende a considerarsi l'unico vero  interprete della legge stessa, ma la politica sta più in alto, perchè è la diretta espressione del gruppo  sociale, ma scusate, sto divagando.
dal sole 24 ore del 12 maggio
Abuso del diritto contestato dal giudice
Antonio IorioL'abuso del diritto è rilevabile autonomamente dal giudice anche se l'ufficio non ha formulato una specificazione contestazione in tal senso. A precisarlo è la Cassazione con la sentenza 7393/12 depositata ieri.L'Agenzia aveva accertato una maggiore Irpeg a carico di una società per aver dedotto dal reddito d'impresa una svalutazione di una partecipazione in una società portoghese. Tale indeducibilità era motivata dal fatto che la società controllata aveva svalutato la partecipazione in un'impresa con sede nelle Bahamas. In questo modo, a parere degli accertatori, era stato violato l'articolo 61 del Tuir (oggi articolo 94) comma 3 bis, secondo il quale le riduzioni di valore delle partecipazioni in società residenti in Stati non appartenenti alla Ue possono essere dedotte solo se vi sono in vigore accordi che consentono all'Amministrazione lo scambio di informazioni per l'accertamento delle condizioni previste. Il giudice d'appello, condividendo quanto già rilevato in primo grado, aveva ritenuto che la società portoghese fosse un soggetto giuridico finalizzato solo a permettere un considerevole risparmio d'imposta, fungendo da schermo rispetto all'impresa con sede nella Bahamas in violazione della norma del Tuir. La Ctr aveva sancito, pertanto, l'elusività dell'operazione richiamandosi al divieto di abuso del diritto, nonostante esso, in precedenza, non fosse stato contestato né dall'ufficio né dal giudice di prime cure. La società aveva quindi proposto ricorso in Cassazione, sollevando il vizio di extrapetizione operato dai giudici, in quanto l'amministrazione nei propri atti non aveva ritenuto sussistente un abuso, ma la violazione dell'articolo 61 Tuir. La Suprema Corte ha chiarito innanzitutto che ciascun giudice ha il potere di qualificare autonomamente la fattispecie demandata alla sua cognizione, a prescindere dalle allegazioni delle parti in causa. Da ciò consegue che non è impedito al giudicante di operare una diversa qualificazione giuridica della fattispecie concreta, che ha dato luogo alla pretesa fiscale, compresa la possibilità di operare d'ufficio, laddove ritenuto opportuno. È quindi facoltà del giudice tributario, analizzando le prove fornite, di valutare l'eventuale invalidità o inopponibilità del negozio stesso. Per ciò che concerne l'abuso del diritto, i giudici di legittimità hanno precisato che in materia tributaria tale divieto si traduce in un principio generale che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto della norma, in assenza di ragioni economiche apprezzabili idonee a giustificare l'operazione. I giudici hanno poi ribadito che detto divieto trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività del l'imposizione. Ne consegue, pertanto, che esso comporta la sua applicazione d'ufficio da parte del giudice, a prescindere, da qualsiasi allegazione al riguardo a opera delle parti in causa. Questa ulteriore pronuncia dei giudici di legittimità dovrebbe far riflettere sulla difficoltà di disciplinare per norma l'abuso del diritto: se esso infatti discende direttamente dal dettato costituzionale ogni tentativo di codificazione potrebbe non essere sufficiente a evitare contestazioni generiche differenti da quelle che verrebbero individuate dalla nuova disposizione

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